Cuore di papà… marino
Nel mondo animale, a occuparsi della cura dei piccoli è di solito la madre. In alcuni casi però è il padre a farlo, come avviene nell’ambiente marino per i cavallucci, i pinguini imperatori, i pesci pagliaccio e per la famiglia degli opistognatidi. Un contributo di Ester Cecere, dell’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr di Taranto
Le cure parentali, cioè l’insieme dei comportamenti finalizzati alla sopravvivenza e al benessere della propria prole, quando presenti, sono quasi sempre a carico delle madri. Quasi, appunto, poiché ci sono alcuni casi, pochi in verità, in cui sono i padri a occuparsi dei nascituri. Vediamo alcuni casi in ambiente marino.
Al primo posto tra i padri amorevoli e solleciti più conosciuti ci sono i maschi dei cavallucci marini (Hyppocampus sp), nella cui sacca ventrale la femmina depone le uova e che sono gli unici vertebrati a mostrare una vera e propria gravidanza maschile. Ma come fanno i piccoli a respirare e a nutrirsi nel corpo del papà? Lo scorso anno, un team di ricercatori australiani ha studiato i cambiamenti strutturali a cui va incontro la sacca di covata dei cavallucci gravidi e ha scoperto che al suo interno si sviluppa una serie di piccoli vasi sanguigni, che servono a scambiare nutrimento, ossigeno e anidride carbonica con gli embrioni; insomma, una sorta di placenta dei mammiferi. Inoltre, man mano che la gravidanza avanza e i piccoli crescono, il numero dei capillari aumenta e la loro parete si assottiglia per facilitare gli scambi di gas e sostanze nutritive.
Un altro padre che mostra grande abnegazione per i figli è il pinguino imperatore (Aptenodytes forsteri), che si riproduce in una delle regioni più inospitali del mondo, l'Antartide, dove durante l'inverno, le temperature possono scendere fino a -65°C e i venti soffiano a più di 200 km/h. Al momento della deposizione, la femmina ripiega la coda in avanti per raccogliere l'uovo, di circa 450 grammi; poi, tenendolo sulle zampe, avanza a piccoli passi verso il maschio per affidarglielo. Esso, per proteggerlo dal freddo del terreno ghiacciato, lo tiene per due-tre mesi sulle zampe, altamente vascolarizzate, e lo ricopre con una spessa piega di pelle sotto la quale la temperatura può arrivare fino a 35°C. Non potendosi muovere e, quindi nutrirsi, il maschio si riduce pelle e ossa. La femmina, che torna al momento della schiusa, gli permette di tornare nell'oceano per alimentarsi.
Sono poche le specie di pesci che si occupano della loro prole, tra quelle in cui è il maschio a farlo, rientrano le trenta specie di pesci pagliaccio e i cosiddetti “incubatori orali”, compresi in una cinquantina di generi sia d’acqua dolce sia di mare.
La ragione per cui il grazioso pesciolino che vive nelle acque calme delle barriere coralline e nelle lagune degli atolli, viene chiamato “pagliaccio” la si deve alla sua livrea estremamente colorata, tendente al rosso-arancio o marrone scuro e striata di bianco o nero, che lo fa assomigliare a un clown. Sì, si tratta di Marlin e Nemo, i protagonisti del film di animazione “Alla ricerca di Nemo”, realizzato dalla Walt Disney Production. Il pesce pagliaccio, della lunghezza massima di 10 cm, è diffuso nell'Oceano Indiano orientale e nell'Oceano Pacifico occidentale, dove vive in simbiosi con attinie e anemoni, invertebrati marini muniti di tentacoli urticanti. La simbiosi è un’associazione stretta e permanente fra individui appartenenti a specie vegetali o animali diverse, che porta vantaggio a entrambe le specie. Nel caso specifico, il pesce pagliaccio provvede alla pulizia degli anemoni alimentandosi dei parassiti che li infestano e nutrendoli con gli scarti del suo cibo; in cambio, riceve protezione dagli eventuali predatori e un nido sicuro per le uova. Tale associazione è possibile poiché i pesci pagliaccio hanno sulla pelle un muco di natura proteica che li rende immuni alla sostanza prodotta dalle cellule urticanti presenti sui tentacoli dell’anemone. Nel periodo riproduttivo, la femmina depone le uova nei pressi dell'anemone e il maschio le feconda, producendo una specie di sostanza protettiva con cui le avvolge. Il maschio del pesce pagliaccio è un padre amorevole e premuroso tanto che, in presenza di un determinato numero di uova che siano progenie propria o altrui, tende a occuparsene, vigilando con cura su di esse.
Pesce cardinale
Studi scientifici hanno dimostrato che tale comportamento è dovuto all'isotocina, un ormone quasi identico all'ossitocina prodotta in gravidanza, anche conosciuto come “ormone dell'amore” e, per questo, associato all'istinto materno. Le ricerche hanno dimostrato che, se si blocca la produzione di isotocina, i pesci smettono di prendersi cura delle uova. Pertanto, il famoso lungometraggio “Alla ricerca di Nemo”, che ha messo in evidenza il sentimento paterno di questa piccolo pesce che riesce a superare ogni difficoltà per il bene del proprio figlio, non è completamente un’opera di fantasia.
Decisamente peggio se la passano i pesci “incubatori orali”, che accolgono in bocca le uova fecondate. La famiglia degli opistognatidi, esclusivamente marina, annovera un’ottantina di specie molto colorate e di varie dimensioni, presenti nei mari tropicali e subtropicali dell’indo-pacifico e in Mediterraneo. I maschi, generalmente solitari e territoriali, vivono in tane scavate nel fondo; nel periodo riproduttivo, diventano più arditi e passano più tempo fuori dalla tana per attirarvi le femmine. Qui esse depongono una masserella di uova che loro fecondano e prendono in bocca per incubarle fino al momento della schiusa. Le uova possono essere alcune centinaia e a poco a poco aumentano di volume, costringendo i papà a tenera la bocca aperta e, ogni tanto, ad aprirla un po’ di più e a chiuderla delicatamente per ossigenarle.
Avere la bocca piena di uova causa diversi problemi. L’attività respiratoria viene modificata. Il genitore, infatti, effettua respiri più brevi e frequenti, cercando di non aprire troppo la bocca. Esso poi, modificando la distribuzione di gas all’interno della vescica natatoria, compensa il peso della massa di uova che, trovandosi nella parte anteriore del corpo, influenza l’assetto di galleggiamento. Ovviamente, non mangia; bilancia la diminuzione dell’apporto energetico riassorbendo le scorte di grassi dei tessuti adiposi e delle gonadi. Riprenderà a nutrirsi solo al termine delle cure parentali che, talvolta, si estendono anche agli avannotti (i piccoli pesci) che sono ormai in grado di nuotare e che, con movimenti delle pinne, esso richiama in bocca in caso di pericolo.