Focus: La morte

Tutelare la dignità della persona

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di Alessia Bulla

ll testamento biologico: ce lo spiega la bioeticista Cinzia Caporale. Questo documento assicura che la nostra volontà in materia di trattamento medico sia rispettata anche quando non siamo più in grado di comunicarla

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Il testamento biologico o testamento di vita (living will) è il documento con cui una persona esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe o meno essere sottoposta nel caso in cui, per una malattia o traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso sulle cure sanitarie che gli vengono somministrate. Tale documento si fonda sui principi espressi dalla Dichiarazione universale di bioetica e diritti umani dell’Unesco, dalla Convenzione di Oviedo e dalle Carte più importanti a livello internazionale. L’opinione pubblica è venuta a contatto con queste tematiche a seguito di casi di cronaca come quelli che hanno coinvolto Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro, enfatizzati dai media.

“La finalità del testamento biologico è rendere ancora possibile un rapporto interpersonale tra medico e paziente in quelle situazioni estreme in cui non può stabilirsi alcun legame diretto”, spiega Cinzia Caporale, responsabile della sezione di Roma dell’Istituto di tecnologie biomediche del Cnr, di cui coordina la Commissione dedicata all’etica della ricerca, e membro del Comitato nazionale per la bioetica. “Il 'living will’ favorisce una socializzazione dei momenti più drammatici dell’esistenza, evitando che il malato venga considerato un corpo e non più una persona e anche che subentrino conflitti all’interno della famiglia o tra questa e il medico”.

Le dichiarazioni anticipate di trattamento vanno preferibilmente espresse per iscritto. “In tal modo non sorgono dubbi sull’identità e sulla capacità di chi lo sottoscrive, sull’autenticità documentale e sulla data della sottoscrizione”, prosegue Caporale. “Sarebbe inoltre auspicabile che venga redatto con la consulenza di un medico o di un esperto e che sia rinnovato periodicamente, stante il diritto del paziente di revocare o modificare parzialmente le disposizioni in qualsiasi momento. Essenziale è poi l’indicazione di un fiduciario, una persona che gode della fiducia del paziente, e che potrà farsi interprete delle sue volontà anticipate in fatto di salute. Spetta infine a chi compila il documento stabilire le modalità della sua conservazione, se attraverso un deposito pubblico o semplicemente a casa, il numero di copie e le persone a cui affidarne la custodia. Sarebbe opportuno che il legislatore predisponesse, per coloro che lo richiedano, una procedura di registrazione presso un’istituzione pubblica, che tuteli la privacy ma garantisca un accesso tempestivo in caso di necessità”.

Vi è una discussione molto accesa se il testamento biologico debba vincolare il medico alle disposizioni del paziente. “Questo problema è in realtà risolvibile senza che si debba rinunciare alla libertà di scelta del medico o a quella del paziente riguardo alle cure da somministrare. In caso di conflitto insanabile, dovrebbe essere sempre possibile affidare il paziente a un altro medico o a un’altra struttura sanitaria”, afferma la bioeticista.

Delicato è poi l’aspetto della rinuncia all’alimentazione e all’idratazione. “Si scontrano qui la posizione tra chi pensa costituiscano un’irrinunciabile assistenza di base e chi ritiene siano un atto medico a cui quindi si può rinunciare”, conclude Caporale. “In realtà, non è rilevante più di tanto definire cosa siano realmente, dal momento che esse rientrano appieno nella disponibilità del paziente ancora capace di esprimere il consenso e dovrebbero quindi essere ammissibili anche nel testamento biologico”.

Alessia Bulla

Fonte: Cinzia Caporale, Istituto di tecnologie biomediche, Roma, tel. 06/49932999 , email cinzia.caporale@cnr.it -

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