La prova della provetta
Il test del Dna si è rivelato fondamentale in molte indagini giudiziarie, tra l'altro per risalire al presunto assassino di Yara Gambirasio. Giuseppe Biamonti dell'Istituto di genetica molecolare spiega funzionamento e affidabilità di questo metodo di analisi
Il test del Dna rivelatosi determinante in casi come quello della contessa Alberica Filo della Torre uccisa nel 1991 nella sua villa all’Olgiata, alla periferia di Roma, è oggi riconosciuto come un pilastro scientifico che può imprimere una svolta alle indagini. Proprio grazie alla prova del Dna si è arrivati a identificare il presunto assassino di Yara Gambirasio, la ragazza di 13 anni di Bremante di Sopra uccisa nel novembre del 2010. Ma in che cosa consiste e che grado di attendibilità ha questo esame?
“Il Dna è la molecola in cui viene custodita 'l’informazione’ della vita”, spiega Giuseppe Biamonti, direttore dell’Istituto di genetica molecolare (Igm) del Cnr di Pavia. “Il test del Dna è sicuramente la forma più moderna di analisi di un’impronta biologica e viene utilizzato nelle indagini di polizia, ma anche nei casi di accertamento della paternità. Esso rappresenta in un certo senso l’estrema evoluzione dell’idea investigativa di impronta digitale”. Per eseguirlo si uniscono le forze di due discipline: la genetica molecolare e la statistica. "La prima permette di penetrare all’interno del nucleo delle cellule degli organismi per decifrare l’informazione che definisce ciascun individuo, ovvero il Dna mentre la seconda analizza questa informazione per caratterizzare la struttura della popolazione nel suo insieme e dimostrare l’unicità di ogni suo componente”.
Alla base del test c’è il fatto che, a eccezione dei gemelli nati dallo stesso ovulo (omozigoti), non esistono due persone con un’identica sequenza di Dna. La situazione si complica però perchè per essere del tutto sicuri si dovrebbe leggere l’intera sequenza del genoma estratto dal reperto e confrontarla con quella del sospettato con costi e tempi non sostenibili, soprattutto se si vuole fare l’analisi di molte persone, come avvenuto nel caso di Yara. "Per fortuna esiste l’analisi genetica che permette di giungere a conclusioni praticamente certe, in modo molto più semplice, economico e rapido. L’analisi si basa su due principi: la presenza di marcatori genetici e il calcolo probabilistico”, precisa Biamonti. “Come marcatori si utilizzano regioni del genoma che sappiamo essere spesso differenti da individuo a individuo e frequentemente anche tra le due copie del genoma di ogni individuo. Tra queste, si adoperano parti formate da ripetizioni successive (in tandem) di una stessa sequenza molto breve. Ad esempio, potremmo immaginare la sequenza GGATGGATGGAT dove l’unità GGAT è ripetuta tre volte".
Il trucco sta nel considerare molte ripetizioni di sequenze molto brevi, dove il numero di ripetizioni varia con una certa frequenza nella popolazione. “Insomma, considerando un numero sufficientemente alto di regioni geniche, con un numero abbastanza elevato di ripetizioni, si può arrivare a identificare un individuo con una precisione molto elevata”, conclude Biamonti.
“Un esperimento può non riuscire, ci possono essere inquinamenti (il materiale genico è danneggiato oppure proviene da più individui), o il materiale a disposizione è così poco che non si può analizzare un numero sufficientemente alto di regioni e non si possono ripetere gli esperimenti per scongiurare contaminazioni. Esistono comunque tecniche statistiche che permettono di stabilire il grado di affidabilità del risultato al quale si è pervenuti”.
Jyotsna Alessandra Deswal
Fonte: Giuseppe Biamonti, Istituto di genetica molecolare, Pavia, tel. 0382/546322 , email biamonti@igm.cnr.it -