Esami cardio-radiologici più 'sostenibili'
Un documento ufficiale della Società europea di cardiologia, pubblicato sulla rivista 'European Heart Journal', fa propria la posizione da anni assunta dall'Ifc-Cnr, evidenziando i rischi della diagnostica per immagini in cardiologia, tra cui gli effetti a lungo termine da radiazioni ionizzanti
La European Society of Cardiology (Esc) raccomanda una riduzione degli esami non strettamente "appropriati", sulla base di un documento ufficiale pubblicato sulla rivista 'European Heart Journal’ e coordinato da Eugenio Picano, direttore dell’Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Cnr di Pisa, promotore della necessità di una maggiore sostenibilità - economica e culturale - nell'impiego della diagnostica per immagini in cardiologia.
Nello studio sono elencati per la prima volta dosi e rischi degli esami cardiologici più comuni. “La tomografia computerizzata, l'angioplastica coronarica, l’ablazione di aritmie cardiache e la cardiologia nucleare rilasciano una dose di radiazioni equivalente in media a quella di 750 radiografie al torace per ciascun esame, con ampie variazioni da 100 a 2.000 radiografie in base a tipo di paziente, qualità e aggiornamento della tecnologia, perizia e, soprattutto, consapevolezza radiologica dell'operatore”, spiega Picano. “Sarebbe opportuno precisare a quante radiografie equivale ciascun tipo di esame. Tali procedure vengono utilizzate per tutte le forme di malattia cardiaca, da quella congenita allo scompenso cardiaco, ma più frequentemente per la cardiopatia ischemica. Secondo le linee-guida dell’Esc, il 30-50% degli esami eseguiti è parzialmente o del tutto 'inappropriato’: il rischio potenziale supera cioè il beneficio atteso”.
Ma non sono solo questi gli effetti evidenziati: “Gli esami inappropriati comportano spreco di risorse, allungamento dei tempi di attesa e, se eseguiti con radiazioni ionizzanti (come la radiologia e la medicina nucleare), un’indebita irradiazione del paziente, con conseguenti rischi a lungo termine”, prosegue il direttore dell’Ifc-Cnr. “Anche i cardiologi che eseguono angioplastiche e ablazioni sono più esposti dei radiologi diagnostici perché, pur protetti, sono vicini alla fonte delle radiazioni, dovendo operare a contatto con il paziente. Dosi maggiori che, nel corso degli anni, divengono non trascurabili: dopo 30 anni di sala, i più esperti tra loro accumulano un extra-rischio di cancro di uno su 100. Questi casi sono stati oggetto di studi su larga scala negli Stati Uniti (studio epidemiologico coordinato dal National Institute of Health e National Cancer Institute su 50 mila cardiologi e radiologi interventisti) e in Italia, dove l’Ifc-Cnr con la Società italiana di cardiologia invasiva ha reclutato 500 cardiologi emodinamisti valutati con approccio di epidemiologia molecolare nello studio Healthy Cath Lab”.
Scopo del documento è dunque informare sanitari e cittadini sull’opportunità di eseguire solo esami necessari, evitando Tac coronariche e scintigrafie in soggetti sani, asintomatici, a basso rischio e preferendo, quando è possibile, esami non-ionizzanti come la risonanza e l'ecocardiografia. A esame avvenuto, va inoltre conosciuta sempre la dose radiologica erogata di riferimento e quella reale.
“A parità di dose erogata, età e sesso influenzano il rischio radiologico. Per esempio, rispetto a un uomo di 50 anni, per ogni dose erogata il rischio di cancro aumenta di un terzo nella donna adulta, di quattro volte nei bambini e si dimezza nell’ottantenne”, conclude Picano. “Infine, durante l'esame, va controllato che la dose radiologica sia la minore possibile. Dopo l’esame, poi, occorre registrare la dose consuntiva che si accumula sul 'conto corrente radiologico’ del paziente e che, tramite la dose cumulativa, ne determina il rischio di cancro. Atti semplici, che possono rendere corsie e laboratori un posto più sicuro per medici e pazienti”.
Rosanna Dassisti
Fonte: Eugenio Picano, Istituto di fisiologia clinica, Pisa, tel. 050/3152400 , email picano@ifc.cnr.it -