Dna, così cambia con le migrazioni
La variabilità genetica non è solo responsabile delle differenze tra individui, ma anche la diretta conseguenza dei processi demografici ed evolutivi che hanno interessato la nostra specie, inclusi i processi migratori. A spiegare come il suo studio aiuti a comprendere le nostre origini, Vincenza Colonna, ricercatrice dell'Igb-Cnr di Napoli
La ricerca sulla genetica umana sta producendo negli ultimi anni una quantità di dati senza precedenti, anche in relazione al flusso di geni introdotti dalle migrazioni che hanno lasciato un segno persistente a distanza di millenni. A fare una fotografia della distribuzione della variabilità genetica legata ai processi migratori, Vincenza Colonna, dell’Istituto di genetica e biofisica 'Adriano Buzzati-Traverso’ (Igb) del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli.
“Il genoma umano è costituito da due serie di 23 molecole di Dna, ciascuna con una sequenza di circa 3.100 milioni di monomeri, detti basi azotate, contenenti tutte le informazioni necessarie a costruire e mantenere in vita ogni individuo, sotto forma di geni e regioni regolative. Poiché tutti gli individui di una stessa specie svolgono uguali funzioni, anche i loro geni e regioni regolative risultano quasi identici”, spiega Vincenza Colonna. “Leggendo in parallelo la sequenza di due serie di basi da due individui a caso, risulterebbero differenze in appena 3-3,5 milioni di basi, ovvero lo 0,1% del genoma. Più in generale è variabile nella nostra specie l’uno per cento del genoma”.
Ad avvalorare questi dati, uno studio pubblicato su 'Nature’ nel 2012, che ha messo a confronto il genoma di 1.092 di individui. “La variabilità”, continua la ricercatrice, “origina attraverso due meccanismi principali: le mutazioni, dove in ogni gamete la base ha una probabilità di mutare di 1 su 10 milioni (circa 30 basi che mutano nell’intero genoma di ogni nuovo gamete); e la ricombinazione in cui le due serie di origine materna e paterna, si 'scambiano’ interi pezzi di Dna, ragione per cui i figli sono simili ma non uguali ai genitori”.
Se una popolazione di individui vive in solitudine per molto tempo, a parte le mutazioni, tutti si scambieranno gli stessi pezzi di Dna, finendo con l’assomigliarsi. Se riceve continuamente migranti, si origineranno nuove sequenze di Dna. “Quello che è successo in gran parte della storia è che gli umani si sono riprodotti tra gruppi geograficamente adiacenti, creando così gradienti di variabilità genetica”, aggiunge Colonna. Da qui la possibilità di modificare le funzioni dei geni e delle regioni regolative alla base della sopravvivenza della specie, in funzione dei cambiamenti dell’ambiente. Ad esempio, “una mutazione nel gene Slc24A5 è stata di grande aiuto per gli umani che 50-70.000 anni fa si sono spostati dall’Africa in Europa: la variante che ha permesso alla pelle degli europei di essere più chiara e adattarsi meglio alle nuove condizioni di luminosità”.
La variabilità genetica non è solo responsabile delle differenze tra individui, quindi, ma anche la conseguenza dei processi demografici ed evolutivi, e il suo studio consente di ricostruire i processi migratori in termini di ricombinazione. “Quando due gruppi molto lontani si incontrano e si scambiano pezzi di Dna, all’inizio è facile riconoscere in un individuo quale parte viene dall’una o dall’altra popolazione, ma con il passare del tempo i due 'tipi’ di genoma si mescolano rendendo possibile questa operazione solo disponendo di moltissimi dati”, conclude Colonna. “Ad esempio, conoscere la sequenza di mezzo milione di siti variabili ha permesso di discriminare con una precisione di alcune centinaia di km. la provenienza geografica di 3.000 individui. Va detto che tali modificazioni di funzione non sempre portano miglioramenti, anzi possono diventare causa di malattie: da qui l’importanza dello studio della variabilità genetica per capirne le cause”.
Silvia Mattoni
Fonte: Vincenza Colonna, Istituto di genetica e biofisica "Adriano Buzzati Traverso", Napoli, tel. 081 6132 254 , email vincenza.colonna@igb.cnr.it -