Editoriale: Ricerca

Tra pandemia e Pnrr: traversare la “terra di mezzo”

Ricercatrice
di M. F.

Il Piano nazionale ripresa e resilienza è un’occasione unica per un salto di qualità verso un nuovo modello socio-economico, trainato dalla ricerca scientifica. Ma dobbiamo diventare più capaci di fare sistema. A margine della terza edizione della “Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia - Analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia”, in questo numero dell’Almanacco della Scienza del Consiglio nazionale delle ricerche, affrontiamo criticità e segnali positivi del sistema

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Ci troviamo in una sorta di “terra di mezzo” tra la crisi pandemica e il Pnrr (Piano nazionale ripresa e resilienza) che dovrebbe far compiere all’Italia un salto di qualità verso un nuovo modello socio-economico, trainato dalla ricerca scientifica. Non si tratta quindi solo di uscire dall’emergenza sanitaria ma di confermare il ruolo che le istituzioni di ricerca hanno svolto, proponendo soluzioni innovative e ottimizzando quelle già disponibili, nel momento in cui bisogna investire le misure straordinarie di sostegno alle economie degli Stati membri europei. L’accortezza è giustificata dal fatto che noi italiani passiamo per essere dei grandi improvvisatori, capaci di reggere gagliardamente alle avversità e di proporre colpi di genio e di talento individuali, ma molto meno abili nel fare sistema, rete, rispondendo strutturalmente e sistematicamente ai bisogni e alle novità.

A confermare quello che potrebbe sembrare un semplice luogo comune è anche la terza edizione della “Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia-Analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia” che è stata presentata presso la sede centrale del Consiglio nazionale delle ricerche. Il nostro Paese contribuisce al bilancio per la ricerca dell’Ue con il 12,5%, ma i finanziamenti che ritornano sono solo l’8,7%, e coordina anche meno proposte a causa del fatto che i ricercatori in Italia sono meno che nei Paesi partner. La competizione interna per l’acquisizione di fondi internazionali produce “circoli chiusi” e alimenta le disuguaglianze territoriali, in particolare tra Nord e Sud. Abbiamo pochi ricercatori perché abbiamo pochi dottorati e iscritti al dottorato: il tasso di occupazione dei dottori di ricerca è molto alto, ma non sempre adeguato alle conoscenze acquisite poiché il nostro mercato del lavoro, specie privato e industriale, sfrutta poco le competenze scientifiche e tecniche. Una parte dei nostri studenti e dottorati notevole (e maggiore degli stranieri da noi ospitati) si rivolge così all'estero, dove molti dottori di ricerca trovano occupazione e redditi medi superiori, testimoniando la buona qualità della formazione ricevuta.

Una derivata di queste criticità, ben nota, è il sessismo disciplinare, per la quale gli uomini coprono il 60% dei posti nelle Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e le donne il 58% nelle altre materie. Ma, soprattutto, si riscontra inoltre un gap salariale a danno delle donne, trasversale ai vari Paesi e settori ma maggiore in Italia e nelle scienze mediche. Se n’è parlato molto l’11 febbraio scorso nella giornata dedicata a incentivare studi e carriere tecnico-scientifici per le donne.

Per fortuna i segnali positivi non mancano, a partire proprio dall’aumento della quota di donne dottorate di ricerca. Per aumentare lo sbocco professionale dei ricercatori nell’industria, è stato introdotto il Dottorato Industriale, in coordinamento tra Cnr, Confindustria e atenei. In Italia è poi in atto una lieve ripresa della spesa per R&S (Ricerca e sviluppo) in rapporto al Pil, e anche la quota del personale addetto cresce in rapporto alla forza lavoro. Per quanto riguarda la produzione scientifica, si conferma una quantità di pubblicazioni significativa, quasi il 5% sul totale mondiale. La produzione di brevetti, infine, mostra un miglioramento.

Ciò che va colto adeguatamente è l’occasione delle risorse destinante a ricerca e sviluppo previste nel Pnrr, circa 17 miliardi di euro. E tenendo conto di alcune grandi incognite: a parte quella sanitaria, si agitano in Europa e nel mondo gli spettri della guerra, in Ucraina e non solo, e della crisi energetica, determinata da diversi fattori. Due temi ai quali dedicheremo i prossimi numeri dell’Almanacco della Scienza.

Questo, invece, lo vogliamo riservare alla terza edizione della “Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia-Analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia”, opera di un gruppo di lavoro di diversi Istituti del Consiglio nazionale delle ricerche: di Ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps), di Ricerca sulla crescita economica sostenibile (Ircres), per gli Studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie (Issirfa). Grazie ai coordinatori e collaboratori della “Relazione”, potrete apprezzarne alcune “esplosioni”. “Il Pnrr costituisce un’unica e probabilmente irripetibile occasione: per instaurare il circolo virtuoso tra ricerca, innovazione e sviluppo socio-economico; per avviare progetti di sviluppo scientifico-tecnologico; per una collaborazione tra mondo accademico, amministrazione pubblica, enti locali, industria e tra settore pubblico e privato”, avverte Maria Chiara Carrozza, presidente del Cnr. “Come mondo della ricerca dobbiamo superare alcune vecchie logiche” ha commentato il ministro dell’Università e ricerca Maria Cristina Messa, a margine della presentazione. “Tra queste, l’antitesi fra ricerca di base e applicata, il preconcetto della separazione fra mondo della ricerca pubblica e privata. Se come mondo della ricerca vinciamo questa sfida diventiamo fondamentali per il Paese”.

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