Editoriale

Tra Raffaello e noi, analogie e differenze

di Marco Ferrazzoli

Esattamente 500 anni fa l'artista morì, probabilmente contagiato dalla sifilide. Quanti spunti di riflessione sull'attualità del Coronavirus possiamo trarre dal paragone con il tempo in cui visse l'artista: la differenza fondamentale sta nell'atteggiamento culturale delle due epoche. Oggi viviamo in un'epoca in cui, tra fake e faq, imperano timori, dubbi e domande. L'importante è che non si mini il dovere civile di obbedire alle direttive pubbliche e la fiducia nella scienza, le uniche due possibilità che abbiamo

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Quanti spunti di riflessione sull'attualità del Coronavirus possiamo trarre da queste poche righe biografiche dell'artista al quale dedichiamo il Focus monografico di questo Almanacco della scienza, proprio in occasione del cinquecentenario della scomparsa. Il primo è che le patologie infettive ed epidemiche hanno connotato tutta la storia umana, così come altre sciagure: basti ricordare che la precoce scomparsa risparmiò a Raffaello il sacco dei Lanzichenecchi a Roma del 1527 e la peste del 1600

Raffaello morì il 6 aprile 1520, a soli 37 anni, nel giorno di Venerdì Santo. Dopo quindici giorni di malattia cominciata con una febbre "continua e acuta" e, almeno secondo quanto riporta Vasari, che ne attribuisce la causa agli "eccessi amorosi" dell'artista, inutilmente curata con ripetuti salassi. Sembra, insomma, che il “divin maestro” sia morto per sifilide: male amoroso, se vogliamo dirla così, ma soprattutto contagioso.

Quanti spunti di riflessione sull'attualità del Coronavirus possiamo trarre da queste poche righe biografiche dell'artista al quale dedichiamo il Focus monografico di questo Almanacco della scienza, proprio in occasione del cinquecentenario della scomparsa. Il primo è che le patologie infettive ed epidemiche hanno connotato tutta la storia umana, così come altre sciagure: basti ricordare che la precoce scomparsa risparmiò a Raffaello il sacco dei Lanzichenecchi a Roma del 1527 e la peste del 1600. La differenza fondamentale sta nell'atteggiamento culturale delle due epoche: in quelle passate erano diffuse la rassegnazione, legata anche all'alta mortalità infantile e alla ridotta longevità, la consolazione della fede religiosa e del risarcimento ultraterreno, l'ignoranza o l'arretratezza del metodo scientifico con cui cercare di scoprire e curare le cause delle patologie e persino quella delle più elementari norme di igiene da rispettare per prevenirne e ridurne gli effetti. L'ultimo aspetto merita una riga di approfondimento: la storia del progresso scientifico è stata un miscuglio di attività finalizzate e strutturate di ricerca, processi eterodiretti, serendipità, ostinazione di pochi contro la maggioranza conservativa delle consorterie accademiche e disciplinari dell'epoca (si pensi a personaggi come Semmelweis, Pasteur o Lister). Ma almeno altrettanto importante degli avanzamenti ottenuti nell'eziologia, nelle terapie e nella clinica è stata la globalizzazione di comportamenti come quel “lavarci le mani” che, in questi giorni, ci viene ripetuto come un mantra.

Oggi invece viviamo in un'epoca che, in un arco di tempo rapidissimo, ha conosciuto il maggior aumento di sopravvivenza media della storia, tanto da divenire facile preda dei propagandisti di ricette per raggiungere la “quasi immortalità”, l'istruzione media è notevolmente aumentata e soprattutto è esplosa la quantità di informazioni disponibili. Intendiamoci: non stiamo stabilendo una contrapposizione storica stereotipata e manichea, è però piuttosto ovvio che la reazione al Covid-19 sia anche lo sgomento, la circolazione caotica di notizie contraddittorie, legata anche al fatto che la scienza sta doverosamente rivendicando il proprio ruolo di unica strada per uscire dal contagio, ma anche i propri limiti di conoscenza. Come abbiamo già scritto sull'Almanacco, viviamo in una fase di Infodemia, in cui si mescolano complottismi, falsità ma anche una poderosa produzione e diffusione di informazioni corrette, controllate, autorevoli, istituzionali, in forme molto spesso semplici e accessibili alla cittadinanza. Viviamo tra fake e faq, potremmo dire.

Che questa sia un'epoca di timori e di dubbi è, in conclusione, più che comprensibile. Il nostro è un “Tempo delle domande”, come dice lo scrittore Maurizio Maggiani: pensiamo solo a quelle che ci poniamo sulla permanenza del virus nell'aria o sulle mascherine (se, quali, dove e come indossarle). Domande, timori e dubbi tanto più scontati in un Paese che ha sempre avuto 60 milioni di allenatori della nazionale di calcio, ora in parte convertiti in esperti di Coronavirus. Trascorriamo il doppio del tempo di prima dell'epidemia sul web, come rilevato da un'indagine di un Istituto Cnr. Siamo costretti all'isolamento, alla ridotta mobilità, alle coabitazioni e lontananze forzate che, come ha scritto Natalia Aspesi, ci fanno chiedere quali saranno le “conseguenze sull'amore” di questa protratta situazione. I lutti non hanno neppure la consolazione dei riti religiosi e dello stingersi assieme (struggente il figlio che al padre scomparso ha scritto di aver potuto dare solo “un bacio nell'aria”). La stima circolata sui media di un terzo di italiani stressati, alla fin fine, ci pare persino ottimistica. L'importanza è che la tensione non mini il dovere civile di obbedire alle direttive pubbliche e la fiducia nella scienza, le uniche due chance che abbiamo. (nell'illustrazione, elaborazione della "Madonna della seggiola" di Raffaello eseguita da Giuliano Grittini, per cortese concessione dell'artista)