Focus: Casa

Pcm, per costruzioni meno inquinanti

Villa in stile moderno
di Alessia Famengo

Oltre un terzo del consumo mondiale di energia e circa il 30% delle emissioni serra sono attribuibili al settore edilizio, residenziale e commerciale, che consuma più del 55% dell'energia elettrica per l'illuminazione e l'alimentazione di elettrodomestici e dispositivi. Sviluppando materiali innovativi da integrare negli elementi costruttivi è possibile ridurre le emissioni e il dispendio energetico. Sull'argomento abbiamo interpellato Simona Barison dell'Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l'energia 

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Più di un terzo del consumo globale di energia e circa il 40% delle emissioni dirette e indirette di CO2 avviene nel contesto degli edifici e nel settore delle costruzioni, secondo quanto riportato dall'Agenzia internazionale per l'energia (Iea) per l'anno 2019. In particolare, il consumo finale di energia è cresciuto da 118 EJ nel 2010 a circa 128 EJ nel 2019, mentre le emissioni derivanti dalla generazione elettrica e dal riscaldamento/raffreddamento negli edifici a uso commerciale hanno raggiunto il picco massimo di 10Gt nel 2019. Secondo il sito dell'Iea, il trend attuale delle emissioni è in contrasto rispetto al plateau osservato nel periodo 2013-2016, dovuto principalmente ai progressi nella decarbonizzazione del settore energetico: dal 2016 l'aumento nella domanda di elettricità per il raffreddamento, il funzionamento degli elettrodomestici e dei dispositivi connessi ha, però, superato il vantaggio conseguito. Tra le principali cause, ormai note ai più, il continuo incremento della domanda energetica per la climatizzazione associata a eventi atmosferici sempre più estremi e sempre più frequenti, l'uso predominante dei combustibili fossili e la scarsità di investimenti e politiche per la realizzazione di edifici sostenibili.

Edificio moderno in vetro

“Migliorare l'efficienza energetica degli edifici per ottenere un impatto zero o ridotto sull'ambiente e trovare soluzioni per ottimizzare l'uso dell'energia sono obiettivi importanti anche nella visione di una società resiliente, capace di studiare modelli di sviluppo post-Covid19 supportati da tecnologie e infrastrutture innovative. A questo scopo l'efficientamento energetico degli edifici sia in fase di costruzione che di restauro sono tra i temi dei Piani di resilienza sia nazionale che europeo” spiega Simona Barison, dell'Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l'energia (Icmate) del  Cnr.

Lo sviluppo di materiali innovativi per aumentare l'efficienza termica degli edifici è tra le strategie promettenti per limitare il consumo  energetico: i materiali a cambiamento di fase (Phase Change Materials, Pcm) sono attualmente studiati nel settore edilizio perché in grado di immagazzinare e rilasciare grandi quantità di energia da e verso l'ambiente in maniera reversibile durante la transizione di stato fisico senza variazioni di temperatura. “Se, conseguentemente a un aumento di temperatura, sono riscaldati fino al punto di fusione, i Pcm assorbono energia come calore latente e passano, ad esempio, dal loro stato solido a liquido. Quando la temperatura diminuisce, l'energia assorbita viene gradualmente rilasciata su forma di calore passando dallo stato liquido a quello solido”, continua la ricercatrice. “Questo può essere impiegato per ridurre i carichi termici degli edifici di giorno assorbendo calore, per poi rilasciarlo di notte. In questo modo si possono ridurre i consumi di raffrescamento diurni e aumentare il comfort”.

Nell'attuale scenario climatico con ondate di calore sempre più frequenti ed estese a latitudini fino a venti anni fa impensabili, mantenere livelli di temperatura accettabili all'interno di case ed edifici commerciali diventa sempre più dispendioso.

Ma quale è la composizione dei Pcm e come vengono introdotti nei materiali da costruzione? “I Pcm possono essere materiali di natura organica, inorganica o miscele eutettiche. In ambito edilizio, vengono considerati quei Pcm con una temperatura di fusione di circa 1-3 °C al di sopra delle temperature considerate di comfort termico interno, ovvero tra 18 e 28°C. Sono tipicamente impiegate le paraffine organiche, caratterizzate da alti calori latenti di fusione (in genere attorno a 100-200 J/g), non corrosive, piuttosto economiche e con diverse temperature di fusione/cristallizzazione a seconda della loro composizione”, chiarisce Barison. “Questi materiali devono rispettare i requisiti di durata, di sicurezza come la scarsa tossicità e infiammabilità e avere un limitato impatto ambientale. A questo scopo sono anche allo studio numerose tipologie di materiali organici di origine naturale come acidi grassi, zuccheri e loro derivati”.

Una volta selezionato il materiale ottimale, bisogna introdurlo all'interno dell'elemento costruttivo in maniera da preservare le proprietà chimico-fisiche del Pcm, garantendo nel contempo l'integrità dell'elemento stesso ed evitando eventuali perdite. “Incorporare i Pcm nei materiali da costruzione può essere eseguito in diversi modi, ad esempio mediante micro- o macro-capsule composte da materiali come poliuretani, polimetilmetacrilati o matrici inorganiche come ossidi di silicio, titanio, alluminio o metalli, che contengano il Pcm anche in fase liquida. I Pcm possono essere integrati in muri, pavimenti, pannelli di gesso o di materiale isolante, ad esempio in contro-soffitti ventilati o utilizzati come componenti nelle unità di immagazzinamento del calore”, aggiunge la ricercatrice del Cnr-Icmate.

Se il comportamento chimico, il trasporto di calore e la stabilità nei Pcm sono le proprietà maggiormente investigate, il loro effetto su cementi e malte è stato finora studiato in termini di proprietà meccaniche, (per  esempio per identificare il contenuto massimo di Pcm oltre il quale il materiale edilizio perde le sue proprietà meccaniche), morfologia e capacità di inerzia termica dell'elemento edilizio. “In altri studi i Pcm sono stati incorporati con successo in materiali per pareti come il cartongesso, in pannelli per controsoffitti associati a ventilazione notturna e applicazioni come il riscaldamento solare passivo. Una recente simulazione ha valutato gli effetti della loro applicazione in diverse posizioni - pareti esterne, soffitti o pavimenti - sul consumo energetico di un edificio in una regione climatica caldo-secca, riscontrando una riduzione sistematica del consumo energetico fino al 10%” conclude Barison.

Nonostante sia passato più di un decennio dai primi lavori sull'integrazione dei Pcm nei materiali da costruzione, la ricerca su questo tipo di sistemi è tuttora molto attiva: l'obiettivo è rendere ancora più sostenibili abitazioni ed edifici individuando Pcm di origine naturale da impiegare in matrici derivate da materiali di scarto come le scorie di alto forno o le ceneri provenienti dalle centrali.

Fonte: Simona Barison, Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia , email simona.barison@cnr.it -

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