L'invito a cogliere la pandemia come un'opportunità può risultare stucchevole e persino irritante, lo comprendiamo bene. D'altra parte vedere il bicchiere mezzo pieno, dopo più di un anno di limitazioni così forti alla nostra libertà, è l'unica soluzione possibile se non vogliamo “disorientarci”. Usiamo questo termine intenzionalmente, poiché il ricco Focus monografico di questo numero dell'Almanacco della Scienza è dedicato alle mappe.
Conoscere e comprendere le mappe non è soltanto affascinante e utile per il nostro orientamento fisico e geografico. Darci un posto e trovare una direzione è anche un paradigma più ampio, è un concetto trasversale, tant'è che nei processi cognitivi e della formazione si parla sempre più di “mappe concettuali”. Pensiamo a come l'isolamento di questo periodo ci consenta e ci imponga al tempo stesso di utilizzare maggiormente gli strumenti digitali per connetterci con il mondo: ma qualunque connessione o “navigazione” (in internet usiamo quest'espressione non a caso) comporta la necessità di tracciare un percorso, di riconoscere i punti di riferimento, di sapere interpretare le rappresentazioni del mondo, prima di provare a esplorarlo.
Questa è la grande attrattività delle mappe o “carte”, come si dice gergalmente tra gli addetti ai lavori, tanto che la scienza della loro lettura viene chiamata “cartografia”. Termini che ovviamente rimandano al supporto materiale sul quale, per secoli, sono stati fissate le coordinate necessarie per decidere come e dove andare; ma anche a un significato più generale di studio o lavoro: in inglese un articolo scientifico viene infatti chiamato “paper” e pensiamo anche alle “sudate carte” leopardiane.
Il più angosciante disorientamento che possiamo provare, affrontando la realtà esterna, è quello che ci coglie in un deserto, in un mare aperto, in una landa desolata dove tutto ciò che vediamo all'orizzonte appare uguale, indifferenziato. La maggior parte di noi, inoltre, ha perduto la capacità di decrittare i segnali che la natura ci invia per soccorrerci, come la posizione e il movimento del sole e delle altre stelle. Ma la stessa desolante confusione ci può cogliere se ci troviamo in un dedalo urbano, in un intrico di strade che non riusciamo a distinguere, per esempio perché manca la toponomastica. Anche in simili situazioni siamo ormai disabituati a procedere senza il supporto di un dispositivo satellitare. “Chi ha le mappe ha il potere”, riassumeva di recente un articolo sul magazine 7 del Corriere della sera, dove lo scrittore Tullio Avoledo osserva: “Google Maps mi dice che nel 2019 ero stato a Parigi, a Norimberga e ad Hannover, a Mosca e a Pechino. La stessa mappa evidenzia che nel 2020 non sono mai uscito dai confini della mia regione. Eppure, se esistesse una mappa dei sentimenti, mi direbbe che in quest'anno trascorso dall'inizio della pandemia ho viaggiato in molti luoghi, ho fatto esperienza di territori sconosciuti. Com'è successo a tutti”.
Soprattutto in questo periodo, è utile riflettere che possiamo essere inconsapevoli vittime di disorientamento anche rimanendo fermi in un luogo isolato. Come ci accade da mesi, con la riduzione della mobilità e delle relazioni interpersonali che cerchiamo di compensare mediante la navigazione in rete. Soprattutto questo è quindi il messaggio che adesso le mappe ci inviano: trovare un equilibrio tra contatto fisico e da remoto, tra esplorazione e protezione, tra materiale e digitale, tra reale e virtuale, tra libertà e sicurezza.