Editoriale

La responsabilità del futuro

futuro
di Marco Ferrazzoli

Abbiamo dedicato il Focus dell'Almanacco a una serie di anniversari - la clonazione animale, l'alluvione di Firenze, la nascita dell'informatica italiana, l'incidente di Chernobyl e altri - per ricordarli non con la testa all'indietro, ma guardando al domani: preoccupazione e sfiducia, anche se in parte giustificati, rischiano oggi di compromettere una visione propositiva e proattiva che è indispensabile. Pur senza alcuna ingenua convinzione nelle progressive sorti, dobbiamo rivendicare il primato della ragione e la possibilità dell'intervento attraverso scienza e tecnica, in nome dello sviluppo dell'umanità

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L'ottica di un futuro del quale l'uomo sia artefice non può che partire da uno sguardo consapevole e responsabile sul nostro passato, dalla storia. Per questo abbiamo dedicato il Focus monografico dell'Almanacco della scienza a una serie di anniversari che cadono quest'anno e che vogliamo ricordare non volgendo la testa all'indietro, ma proprio per ciò che possono insegnarci sul domani: la clonazione animale, l'alluvione di Firenze, la nascita dell'informatica italiana, l'incidente di Chernobyl e altri.

Non c'è più il futuro di una volta, verrebbe da dire al riguardo con una battuta, pensando a quanto spesso guardiamo davanti a noi con preoccupazione, perplessità, pessimismo, sfiducia. Sentimenti magari in parte giustificati dalla generale contingenza di crisi economico-finanziaria da cui fatichiamo a uscire, dalle tante gravi notizie che le cronache internazionali dispensano quotidianamente e dalle nostre beghe personali, ma che rischiano di compromettere una visione propositiva e proattiva che è indispensabile all'uomo, come singolo e come collettivo.

La questione non è comunque un inedito dei giorni nostri, anzi - ci avverte Carlo Altini nel suo bel saggio 'Progresso', edito dalla Normale - l'idea dominante di “procedere verso il meglio” si impone in un momento storico preciso, “alla fine del Settecento”, e “subisce forti critiche” già nel secolo scorso, quando sul piano culturale, artistico e letterario si afferma l'immaginario futuribile di “un mondo gestito tecnocraticamente”, di “una società totalitaria sorvegliata da un Grande Fratello”, con la narrativa di Herbert George Wells, Aldous Huxley, George Orwell, Philip K. Dick (ma potremmo anche citare 'Metropolis' di Fritz Lang).

Questa crisi si compie “quando le utopie relative al futuro si volgono in distopie” e quindi, non a caso, nel “secolo breve”: “i progetti utopici di emancipazione possono rovesciarsi nel loro esatto opposto, cioè in distopie caratterizzate da elementi totalitari”, ricorda Altini, e l'errore non sta solo nell'“attesa del futuro” come quella di “un 'paradiso in terra' secolarizzato”, ma nella trasformazione del progresso “in un universo reificato, statico e definitivo” quando invece esso si basa proprio sulla sostituzione “dell'idea classica di perfezione” con “l'idea moderna di perfezionamento dinamica”.

Non si tratta quindi di riesumare l'ingenua convinzione che l'essere umano proceda verso progressive sorti, azzerando “le disparità dei progressi e l'alternanza tra progressi e regressi” in nome di una “reductio ad unum”, a una concezione del “processo storico in termini di direzionalità, universalità e prevedibilità”. Ma di “rivendicare il primato della ragione” e i suoi concreti progressi “materiali e culturali”, questo sì, ammettendo “la possibilità dell'intervento umano sulla natura attraverso l'ausilio della scienza e della tecnica”, stabilendo un primato dell'“umanità, attraverso cui è possibile definire ciò che favorisce lo sviluppo” e ciò che lo ostacola.

È chiaro quindi che oggi dobbiamo fare i conti con un'interpretazione mutevole dell'idea di progresso, poiché esso stesso lo è, se depurato dalle sue ambiguità e contraddizioni. Non a caso questo termine è stato sostituito anche sul piano lessicale, negli ultimi decenni, da quelli di sviluppo, crescita e innovazione: quest'ultima, poi, è stata centrata sull'importanza, centrale ma non esaustiva, delle trasformazioni tecnologiche. Ma non possiamo abdicare dalla responsabilità di essere i fautori del nostro futuro, anche perché questa è la condizione permanente di una democrazia consapevole e quindi davvero matura, che pertanto dovrebbe prevedere il possesso di sufficienti e attendibili informazioni e di un'adeguata capacità di ponderazione, cercando di ricondurre a questa ragionevolezza le opinioni personali, le ideologie e persino i pregiudizi che sono parte ineliminabile del nostro sentire.

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