Focus: Isole

Il carcere redime l'ambiente

Il carcere redime l'ambiente
di Carmine Scianguetta

Le isole che hanno ospitato colonie penali, grazie alla loro protratta inaccessibilità e ad alcuni progetti di difesa e salvaguardia ambientale, presentano dei microcosmi di grande interesse scientifico oltre che naturalistico. Ne abbiamo parlato con due ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche, Diego Fontaneto dell'Istituto di ricerca sulle acque e Francesco Primo Vaccari dell'Istituto per la bioeconomia

 

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Alcune isole sono state destinate nelle varie epoche a luoghi di detenzione a causa della loro natura intrinseca e in alcuni casi per particolari posizioni geografiche e conformazioni geologiche che le rendono difficili da raggiungere e altrettanto difficili da lasciare. La presenza delle prigioni nelle isole, oltre ad alimentare da sempre l'immaginario popolare, ha segnato in maniera profonda la loro evoluzione nel tempo, sia dal punto di vista antropico che ambientale, riproponendo per ogni isola dinamiche simili.

È il caso ad esempio dell'Asinara, a nord della Sardegna, sede della colonia penale agricola dal 1885 al 1998. “In una prima fase c'è stato un forte sfruttamento delle risorse, soprattutto terrestri, per sostentare le popolazioni carcerarie”, ricorda Diego Fontaneto dell'Istituto di ricerche sulle acque (Irsa) del Cnr di Verbania Pallanza, coautore di uno studio svolto in collaborazione con il Parco nazionale dell'Asinara e con varie università incentrato sugli animali microscopici delle spiagge sabbiose e di come la presenza umana ne influenzi la biodiversità. “La storia più o meno è sempre la stessa: carcerati e carcerieri che importano animali e vegetali per creare una minima agricoltura, con danni ingenti alla biodiversità terrestre. Cani, gatti e animali al pascolo distruggono parecchio, ma le acque delle coste vengono protette”.

In una seconda fase, dopo la dismissione del carcere, è avvenuto il recupero e la salvaguardia degli ambienti insulari che, grazie alle forti limitazioni imposte dalla colonia penale alle attività turistiche e residenziali, ha contribuito a preservare la flora e la fauna di territori che si configurano spesso come microcosmi specifici. “Nessuno si può avvicinare e il livello di controllo intorno a una prigione è enormemente più alto di quello che potrebbe avere un'area marina protetta, questo fa sì che la fauna marina rimanga quasi intoccata”, precisa il ricercatore del Cnr-Irsa. “Dal nostro studio sulla biodiversità degli animali microscopici delle spiagge all'Asinara è emerso che l'isola è molto ricca, con tante specie nuove ancora da descrivere, malgrado sia vicinissima alla Sardegna, ben studiata ed esplorata per molti gruppi animali. Sia l'esistenza in passato del carcere sia la tutela che il Parco effettua su alcune spiagge permettono a un angolo di paradiso di biodiversità di continuare a esistere in mare a due passi da noi”. Dal 2002 l'intera isola è stata dichiarata Parco nazionale.

Un'altra importante realtà carceraria di massima sicurezza è stata l'isola di Pianosa. Istituita nel 1856 dal Granducato di Toscana e in attività fino al 2011 ha ospitato, dal 1931 al 1935 anche Sandro Pertini, che sarebbe poi diventato presidente della Repubblica, rinchiuso lì per motivi politici. La tipica macchia mediterranea che ricopre Pianosa comprende, tra l'altro, il ginepro fenicio, il rosmarino, il lentisco, il cisto e anche lo spazzaforno, un raro arbusto amante dei terreni poveri e prevalentemente rocciosi. Le principali specie animali presenti a Pianosa sono piccoli mammiferi, ma anche tra gli uccelli terrestri figurano specie rilevanti come la pernice rossa e l'upupa. Tra gli uccelli marini, si trovano poi il rarissimo gabbiano rosso, la berta minore e maggiore, che si riproduce soltanto in alcune isole dell'arcipelago toscano, e il falco pellegrino, assai raro in Italia, che nidifica sulle scogliere e sui costoni rocciosi inaccessibili. In mare, tra le praterie di posidonia nuotano saraghi, triglie, salpe, dentici, ricciole, aragoste e cernie, mentre più a largo è possibile avvistare i delfini o le tartarughe Caretta caretta; più raro l'incontrare la foca monaca.

Come per l'Asinara, anche Pianosa, per le sue singolari caratteristiche preservate nel tempo, è diventata sede di progetti di ricerca scientifica. Primo tra tutti è stato il Pianosa-Lab, nato poco più di venti anni fa per iniziativa di Francesco Primo Vaccari dell'Istituto di biometerologia (Ibe) del Cnr di Firenze che, con un gruppo di ricercatori dell'Ente e dell'Università, è riuscito a misurare la quantità e la qualità di gas che l'Isola dell'Arcipelago Toscano scambia con l'atmosfera durante il giorno e la notte.  “Le isole-carcere come Pianosa, ma anche Ventotene e Asinara, sono state preservate, è vero, dallo sviluppo antropico e dal turismo di massa, ma sono state anche ampiamente sfruttate da un'amministrazione penitenziaria che in quel momento aveva necessità ben più urgenti che della salvaguardia dell'ambiente”, commenta Vaccari.

Anche per Pianosa vale dunque, come per l'Asinara, la duplice dinamica di sfruttamento e salvaguardia. Se la gestione della colonia penale ha determinato, durante la sua attività, lo sfruttamento delle risorse dell'isola e la produzione di veri e propri danni all'ecosistema, dal momento della sua dismissione le cose sono cambiate radicalmente. “L'unico vero vantaggio di essere state protette dall'amministrazione penitenziaria e di quel modo di gestire i detenuti, è che dal momento in cui è stata chiusa è stata veramente chiusa, dalla fine degli anni '90 è stata cioè totalmente abbandonata e l'ecosistema è stato lasciato libero di subire una spontanea dinamica di ricostituzione”, spiega il ricercatore del Cnr-Ibe.

Fulcro delle attività di ricerche capitanante da Vaccari è stata la stazione metereologica installata sull'isola grazie agli iniziali finanziamenti del Cnr e dotata di una strumentazione di avanguardia per la misura in continuo dei flussi di carbonio e vapore acqueo dell'intero ecosistema isola. In venti anni di attività, innumerevoli sono state le pubblicazioni e decine le missioni scientifiche ospitate, i risultati e le ricerche portate avanti in modo continuativo hanno consentito al Pianosa-Lab di entrare a far parte di numerosi network riconosciuti a livello mondiale. Un progetto precursore, i cui risultati e l'attività ancora in essere si inseriscono oggi più che mai nell'urgente e capitale tema dei cambiamenti climatici.

Pianosa e l'Asinara costituiscono due esempi di isole-carcere in cui l'attività scientifica e di ricerca si è sviluppata in specifici progetti. A esse se ne aggiungono altre: le già citate Capraia, con la sua enorme colonia penale agricola abbandonata ormai da oltre trent'anni, la romanzesca Montecristo, nominata riserva della biodiversità dall'Unione europea, e Gorgona, la più piccola e selvaggia isola di tutto il Parco nazionale dell'Arcipelago toscano e l'unica col carcere ancora attivo. In Sicilia troviamo la perla nera del mediterraneo, Pantelleria, mentre davanti alle coste laziali c'è Ventotene, che è stata un carcere sin dai tempi dei Romani,  quando Nerone vi fece rinchiudere la moglie con l'accusa di adulterio; così come carcere romano è stata Ponza. A esse si unisce Santo Stefano, tutte nell'arcipelago delle Isole Pontine, e Favignana, la più grande delle isole Egadi, carcere utilizzato dai Borboni, dai Savoia e da Mussolini, fino a ospitare i brigatisti degli anni Settanta.

Dieci isole, secoli di storia e di storie, luoghi di sofferenze ma anche di sperimentazioni sociali, sicuramente terre uniche per bellezza e caratteristiche che oggi, grazie a politiche di salvaguardia e valorizzazione, risplendono nel Mediterraneo come gioielli di ritrovata autenticità.

Fonte: Diego Fontaneto, Istituto di ricerca sulle acque, email diego.fontaneto@cnr.it - Francesco Primo Vaccari, Istituto per la bioeconomia, email francesco.vaccari@ibe.cnr.it

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