Violenza contro le donne e Covid-19
L'emergenza sanitaria ha silenziato questa problematica, che in realtà si è acuita proprio a seguito della convivenza forzata in casa con il partner abusante. Rendendo più difficoltosi anche gli interventi dei centri antiviolenza, che hanno dovuto adattare le modalità operative alle restrizioni volte al contenimento del contagio. Ne abbiamo parlato con Pietro Demurtas e Caterina Peroni dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr
Durante la pandemia le donne vittime di violenza si sono ritrovate in condizione di maggiore vulnerabilità: la stretta convivenza con un partner violento, l'isolamento e le difficoltà a sporgere denuncia e ad attivare reti di supporto esterne le ha infatti esposte a un maggior rischio di subire abusi e aggressioni. L'emergenza ha inoltre amplificato le già esistenti criticità e carenze delle politiche antiviolenza e del sistema di servizi di prevenzione e intervento.
“A mesi di distanza dall'inizio dell'emergenza, i dati prodotti a livello nazionale possono aiutare a fare chiarezza sulle proporzioni della 'doppia pandemia' da Covid-19 e da violenza contro le donne. In primo luogo, i dati della Polizia criminale sui reati spia della violenza di genere (atti persecutori, maltrattamenti in famiglia e violenze sessuali) hanno mostrato una diminuzione delle notizie di reato proporzionale alla rigidità del confinamento domestico nei primi mesi di lockdown a marzo e aprile”, spiegano Pietro Demurtas e Caterina Peroni dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr. “L'analisi per tipo di reato evidenzia però una variazione negativa più pronunciata per la violenza sessuale e per gli atti persecutori (stalking), i cui responsabili sono uomini non conviventi, mentre è meno marcata per i maltrattamenti che avvengono all'interno delle mura domestiche. Ma se, rispetto all'anno precedente, nei primi sei mesi del 2020 gli omicidi totali sono diminuiti, sono invece aumentati quelli delle donne, in particolare in ambito familiare e affettivo, confermando che il lockdown ha oscurato le violenze domestiche, impendendo le richieste di aiuto e ne ha acuito la gravità”.
I dati raccolti dall'Istituto nazionale di statistica sulle richieste di aiuto arrivate al 1522 confermano il soffocamento della voce delle vittime non appena è esplosa la pandemia. “Nelle prime settimane di marzo si è osservato un calo delle chiamate alla help line nazionale, che è poi aumentato repentinamente in concomitanza con l'inizio della campagna di sensibilizzazione #Liberapuoi, promossa dal Dipartimento per le pari opportunità, a conferma dell'importanza di sensibilizzare le donne sulle opportunità disponibili per sfuggire alla violenza”, proseguono i due ricercatori.
Il Cnr-Irpps ha svolto un'indagine sui centri antiviolenza nel periodo di lockdown più rigido, tra l'8 aprile e il 4 maggio 2020, per rilevare le maggiori criticità emerse durante le misure di confinamento dovute all'emergenza sanitaria, tra cui si registrano in particolare le difficoltà nell'intercettazione dei casi di violenza e nel reperire strutture di ospitalità. “I dati mostrano che seppur tra molte difficoltà, i centri sono riusciti a mantenere un contatto con le donne che avevano iniziato un percorso di fuoriuscita dalla violenza già prima dell'emergenza, ma hanno avuto molte più difficoltà a intercettare le richieste di aiuto di coloro che non avevano mai avuto contatti con i presidi antiviolenza”, chiariscono Demurtas e Peroni. “A questo proposito, alcune operatrici hanno descritto un 'doppio movimento': all'iniziale contrazione delle chiamate è infatti seguito un consistente aumento dei contatti, molti dei quali in emergenza, a testimonianza di una iniziale tendenza delle donne a 'stringere i denti'”.
Nell'ambito della loro attività i centri hanno dovuto affrontare numerose problematiche nel garantire un adeguato supporto alle donne vittime di violenza. La carenza di posti letto nelle case rifugio già evidenziata dal progetto Viva del Cnr è stata aggravata dalle misure di distanziamento sociale. “L'indagine ha rilevato difficoltà logistiche e organizzative, dovute al lavoro in remoto e all'indebolimento delle relazioni territoriali tra servizi in prima linea. La criticità maggiore è stata identificata nella gestione dell'ospitalità in casa rifugio, dal momento che la sofferenza delle donne è stata aggravata anche dalle difficoltà di ottenere i servizi di cui loro e i/le loro figli/e dovrebbero usufruire. Proprio per questo alcune operatrici hanno suggerito che, piuttosto che obbligare le donne e i figli alla fuga durante l'emergenza sanitaria, venga applicata su larga scala la misura dell'allontanamento del maltrattante dalle mura domestiche, così come fatto dalla Procura di Trento”, concludono i due esperti. “Se all'inizio della pandemia i centri antiviolenza hanno garantito la continuità potenziando l'ascolto telefonico, le consulenze psicologiche e legali - ovvero i servizi erogabili da remoto - tutte le attività di supporto all'autonomia sono state fortemente compromesse dal blocco simultaneo dei servizi territoriali. Il supporto all'autodeterminazione delle donne nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, oltre a scontare l'assenza di misure politiche dedicate, appare quindi fortemente compromesso dall'emergenza. Proprio per questo, molte operatrici insistono nel collocare la crisi attuale e le azioni necessarie per affrontarla in una prospettiva sistemica con misure strutturali e non emergenziali, considerando la violenza sulle donne come una cartina di tornasole dello stato della libertà e dell'autonomia delle donne nella società”.
Fonte: Pietro Demurtas, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, Roma , email pietro.demurtas@irpps.cnr.it - Caterina Peroni, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, Roma , email caterina.peroni@irpps.cnr.it -