Il mapping spazio-temporale delle funzioni cerebrali
La mappatura funzionale del cervello ha raggiunto negli ultimi decenni traguardi importanti grazie all'utilizzo di tecniche quali la Pet e la fMri. E ha portato il neuroscienziato Roger Sperry a vincere il premio Nobel. Per comprenderne a fondo il meccanismo è necessario però guardarlo in modo nuovo, come spiega Pietro Avanzini dell'Istituto di neuroscienze del Cnr di Parma
Il cervello è l'organo umano più grande e ha un ruolo fondamentale, dal momento che coordina le funzioni di tutti gli altri organi e apparati mediante il sistema nervoso: è grazie a esso che coordiniamo i movimenti, prendiamo decisioni, elaboriamo pensieri e opinioni. La sua comprensione e conoscenza ha dunque suscitato grande interesse sin dall'antichità, spingendo figure come Ippocrate e Galeno a indagarne il funzionamento. E ha portato, in tempi vicini ai nostri, il neuroscienziato statunitense Roger Sperry a vincere nel 1981 il premio Nobel proprio per le sue scoperte sulla specializzazione funzionale degli emisferi cerebrali. Se è importante infatti conoscere le strutture che compongono il cervello, dunque la sua mappa anatomica, altrettanto rilevante è indagarne le mappe funzionali, per ottenere una sorta di cartografia delle regioni cerebrali attive durante lo svolgimento delle differenti azioni o nella percezione di un determinato stimolo.
“La mappatura funzionale del cervello è esplosa negli ultimi decenni grazie allo sviluppo di una nuova serie di tecniche, quali la Tomografia a emissione di positroni (Pet) e la Risonanza magnetica funzionale (fMri), note come Brain imaging, che costituiscono oggi la metodica di indagine prevalente in neuroscienze”, spiega Pietro Avanzini dell'Istituto di neuroscienze (In) del Cnr di Parma. “Il principio alla base di entrambe queste tecniche è semplice e si basa su vecchi esperimenti del professore di patologia Charles Smart Roy e del neurofisiologo Charles Scott Sherrington. L'aumento di attività elettrica in una regione cerebrale determina un aumento di afflusso di sangue e, quindi, anche di consumo metabolico. Per molti anni questa scoperta è rimasta meramente teorica. Dopo la seconda Guerra mondiale, tuttavia, con lo sviluppo degli studi sulla radioattività del neuroscienziato americano Louis Sokoloff e di John William Belliveau sulle proprietà di risonanza magnetica, si è dimostrato come questi principi di base potessero essere utilizzati nello studio dell'organizzazione delle reti neurali. L'avanzamento tecnologico degli ultimi trent'anni anni ha consentito poi al Neuroimaging di raggiungere una buona precisione nella localizzazione delle attivazioni cerebrali: strumenti software sempre più evoluti consentono l'estrazione di dati estremamente raffinati e specifici rispetto alle variabili di interesse. Infine, la condivisione di dati tra centri specializzati permette l'analisi parallela di migliaia di dati raccolti in tutto il mondo”.
Non si deve però credere che la mappatura cerebrale sia completa e si abbiano a disposizione tutte le informazioni necessarie per la comprensione totale del funzionamento del cervello, come evidenzia il ricercatore del Cnr-In: “L'entusiasmo per la possibilità di localizzare sempre più precisamente le regioni cerebrali ha fatto perdere di vista alcuni aspetti fondamentali intrinseci al loro funzionamento. Il cervello è infatti una rete composta da miliardi di neuroni interconnessi tra loro, il cui linguaggio è una successione di eventi - i potenziali d'azione - della durata di pochi millisecondi. La sequenza in cui i neuroni o le regioni cerebrali si attivano è parte fondamentale per la comprensione del funzionamento del cervello. In altre parole, la mappa del funzionamento cerebrale richiede non solo di ricostruire la localizzazione spaziale di un sito attivo, ma anche il decorso temporale della sua attività per capirne il ruolo all'interno del sistema complesso. Per limitazioni tecniche, le neuroimmagini attualmente non sono in grado di rendere questo aspetto: basandosi su segnali metabolici lenti, la risonanza funzionale può infatti restituire solo un'immagine del cervello 'media' su un intervallo di 2 o 3 secondi, mentre servirebbe una maggiore flessibilità dell'esposizione oggi impossibile”.
Di recente un team del Cnr-In in collaborazione con il Centro per la chirurgia dell'epilessia “Claudio Munari” dell'Ospedale Niguarda di Milano ha proposto una metodica per ricostruire la dinamica temporale dell'attività cerebrale. In questo Centro, vengono ricoverati pazienti epilettici farmaco-resistenti e viene monitorata a fini pre-chirurgici la loro attività neurale tramite l'impianto di elettrodi intracerebrali. “Ogni elettrodo consente di monitorare l'attività elettrica di una piccolissima regione cerebrale nel tempo. Quando però abbiamo osservato tutte insieme le risposte a una stimolazione tattile ottenute da oltre 12.000 elettrodi su quasi 100 pazienti, abbiamo realizzato che il profilo temporale delle risposte neurali è un fattore decisivo nel rivelare le aree che, seppur distanti, svolgono ruoli simili”, chiarisce Avanzini. “Abbiamo scattato i singoli fotogrammi, uno ogni 10 millisecondi, e li abbiamo concatenati in una sorta di 'filmato' che mostra come nei soli 200 millisecondi successivi allo stimolo l'attivazione cerebrale inizia, si propaga attraverso un complesso network e, infine, si esaurisce. Lo abbiamo definito 'mappatura in quattro dimensioni' perché, pur senza sacrificare la precisione della localizzazione spaziale, aggiunge una quarta dimensione - temporale - invisibile alla maggior parte delle altre metodiche di ricostruzione dell'attività neurale”.
È sicuramente un traguardo importante, ma è necessario andare avanti. “Speriamo che questo risultato sia solo un inizio. L'inizio di un nuovo modo di guardare a un cervello non più statico, ma in movimento. E di cercare mappe che combinino insieme gli aspetti fondamentali dell'attività cerebrale: lo spazio e il tempo”, conclude il ricercatore.
Fonte: Pietro Avanzini, Istituto di neuroscienze, email pietro.avanzini@cnr.it