Editoriale: Infodemia

La profezia autoavverante dell’infodemia

Immagine simbolica per infodemia
di Marco Ferrazzoli

Lo tsunami di informazioni da cui siamo sommersi, nel momento in cui ne parliamo, viene inevitabilmente aggravato… Ma pensiamo sia ugualmente necessario farlo, in questo Almanacco della Scienza, perché si tratta di un fenomeno che ci travolge tutti e che investe in primis il rapporto tra scienziati, cittadini e mass media. “Spiegare” le ricerche e “attrarre” l’immaginario collettivo è difficile ma è possibile, se si valorizzano i mediatori capaci di mettersi nei panni del pubblico

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Esiste un’infodemia dell’infodemia. Lo tsunami di parole, commenti, notizie, informazioni da cui siamo sommersi produce, infatti, un’inondazione relativa alla comunicazione stessa. Stando solo agli ultimissimi giorni ricordiamo: l'acquisto di Twitter da parte di Elon Musk per la cifra di 44 miliardi di dollari, accompagnato da molti dubbi e timori; i dati di Wall Street, dove Netflix è crollato del 35% dopo aver riferito di aver perso 200.000 abbonati tra gennaio e marzo, contro una stima di crescita di 2,5 milioni; l’accordo raggiunto dall'Unione Europea sulla nuova legge sui servizi digitali (Dsa), che include misure contro i contenuti illegali e la disinformazione online, “una prima mondiale in termini di regolamentazione digitale”, secondo il Consiglio dell'UE, che “consacra il principio che ciò che è illegale offline deve essere illegale anche online”; l’intervento di Serge Haroche su “Scienza e verità", in cui il Nobel per la fisica 2012 parla di “tribalismo antiscientifico”, “percezione distorta”, “contro-verità propagandate in modo spaventosamente efficace”; le parole di Papa Francesco, “giustamente noi ci scandalizziamo quando, attraverso l'informazione, scopriamo menzogne e bugie nella vita delle persone e nella società. Ma diamo un nome anche alle falsità che abbiamo dentro".

Questo processo si chiama “profezia autoavverante”: se parliamo dell’eccesso di parole, inevitabilmente lo aggraviamo. In fondo lo stiamo confermando anche noi, qui e ora, dedicando l’Almanacco della Scienza all’infodemia. Ma pensiamo sia giusto farlo, perché si tratta di un fenomeno in corso da molto tempo, che ci travolge tutti, seppure in misura diversa, e che investe soprattutto il rapporto tra scienziati, cittadini e mass media.

Al di là del principio di Paul Wazlawich secondo cui “è impossibile non comunicare”, per i ricercatori il dialogo è un compito preciso, un dovere, oltre che un interesse, poiché il loro lavoro poggia anche sul consenso pubblico. L’informazione che diventa formazione, rivolta a bambini e ragazzi, è poi particolarmente importante per creare le vocazioni di studio e professionali necessarie alla ricerca scientifica di domani. Proprio per questo divulgare non significa solo “spiegare” ma soprattutto “attrarre”, colpire l’immaginario collettivo: con l’“utilità” pratica delle ricerche così come con il fascino della loro “inutilità”.

È un compito difficile proprio perché la comunicazione, con l'avvento di Internet e soprattutto del web 2.0, non è più semplicemente "a rete", ma a groviglio. Non bisogna però dare per scontato che new e social media siano inevitabilmente di cattiva qualità, le fake news sono in fondo soltanto un aggiornamento delle “chiacchiere da bar”, amplificate all’ennesima potenza. La minaccia più insidiosa è che, per proteggerci da flussi informativi ormai ingestibili, usiamo comportamenti semplificatori come l'effetto Dunning-Kruger, le bolle informative, le camere dell'eco, il self selection bias: l’isolamento nelle risposte che confermano le nostre idee, magari fornite dai motori di ricerca. Altra tendenza rischiosa, la “polarizzazione”, la rappresentazione per opposti estremismi interpretativi, amata in particolare dai talk show televisivi. E la distorta idea che, anziché la verità e il dato di realtà, si debba offrire ai pubblici l'opinione, la “post verità”.

Che soluzione adottare? Il fact checking, le misure normative (di difficile applicazione), ma soprattutto il rapporto fiduciario tra mondo della ricerca, che deve saper trasmettere in modo efficace le notizie attendibili di cui è fonte, e le persone comuni, che devono essere più “alfabetizzate” e consapevoli del ruolo fondamentale della conoscenza nella democrazia. Il contrario, cioè, della “disintermediazione” causata dall’infodemia. Un compito non semplice ma non irraggiungibile, se si valorizzano i molti mediatori in campo scientifico capaci di mettersi nei panni del pubblico.

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