Faccia a faccia

De Rita: l'Italia? Una poliarchia

censis
di Riccardo CIlluffo

Il fondatore e presidente del Censis critica la frattura italiana tra ricerca pura e applicata e evidenzia la possibilità, dimostrata dal suo istituto, di condurre quest'attività cercando risorse sul mercato

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Giuseppe De Rita ‘è' il Censis. Del Centro studi investimenti sociali è stato tra i fondatori, nel 1964, poi consigliere delegato, segretario generale e ora presidente. Collaboratore del Corriere della Sera, è stato anche funzionario Svimez, presidente del Cnel (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro) e della casa editrice Le Monnier. Laureato in giurisprudenza, autore di numerosi libri, ha ottenuto nel 2003 il Premio Fregene per il volume ‘Il regno inerme'. È considerato uno dei principali osservatori della società italiana e dei suoi cambiamenti.

Il Censis svolge da più di trent'anni un'intensa attività di ricerca in campo socio-economico. Da quest'osservatorio come definirebbe l'evoluzione del nostro Paese, soprattutto la più recente?

Caratterizzata, come tipico della nostra società moderna, dalla moltiplicazione dei soggetti: imprenditoriali, sociali, istituzionali. L'Italia monocentrica e quasi piramidale con il fascismo, dal dopoguerra è diventata progressivamente policentrica, potremmo dire una poliarchia, con più soggetti, più interessi, più meccanismi di potere.

E come valuterebbe, in particolare, l'attitudine italiana all'innovazione tecnologica e scientifica e il livello della nostra ricerca?

La nostra chiave di lettura, per certi versi perdente, è stata di accentuare i processi d'innovazione all'interno della dimensione aziendale, dagli anni '60 in poi abbiamo ritenuto che la vera innovazione si giochi sui meccanismi produttivi e sulla competizione internazionale, con la piccola invenzione di prodotto e la grande innovazione di processi. Dai primi anni '60 in poi, invece, si è riaffermata la tendenza, proveniente dal fascismo, a spostare l'asse sulla ricerca di base, fondamentale, condotta nelle aule universitarie e negli enti. Si è così creata una divisione tra due mondi, uno produttivo che andava avanti in una innovazione pragmatica e uno accademico, teoretico, che oggi sono completamente separati e questo non è un bene per la società. 

Il comparto ricerca soffre di una cronica carenza di risorse. La ricerca sociale quanto ne risente?

Nel nostro caso non ne risentiamo, il Censis è un animale strano: facciamo ricerca senza un soldo di contributo pubblico, svolgiamo circa 70 indagini all'anno per committenti che ce le pagano. Lavoriamo così da quarantasei anni senza perdere denaro, anzi guadagnando, anche se non tanto. Abbiamo avuto anche qualche contratto pubblico, partecipando a gare, ma sostanzialmente il Censis è vissuto stando sul mercato. Una situazione poco diffusa tra chi fa ricerca, specialmente in campo sociale.

Tralasciando il suo ruolo di sociologo, come cittadino e spettatore quali sono i mezzi di divulgazione scientifica che segue di più? Libri, web, tv?

Sono un lettore di libri, un attento lettore e con una matita mi appunto di lato i concetti che mi sembrano più belli.

Quale ricerca le piacerebbe maggiormente fosse portata avanti, magari con successo?

In questo periodo sto riflettendo su un argomento: la mancanza di inconscio: nella società nel suo complesso, ma anche nell'uomo, nella sua individualità. Il tema affrontato da un interessante libro di Massimo Recalcati, ‘L'uomo senza inconscio'. Auspicherei una ricerca psicoanalitica o neurofisiologica per capire se questa mancanza, questo appiattimento dell'inconscio, quest'assenza di un super-io interiorizzato che guidi i nostri passi sia un elemento positivo o negativo. Cosa ci aspetta? Una società di stolti senza inconscio oppure una società di uomini liberi dai vincoli? Mi piacerebbe che qualcuno si occupasse di questo.

Riccardo Cilluffo