Cinema

Adhd: sul grande schermo la malattia contestata

Una scena del documentario Adhd Rush Hour
di Rita Bugliosi

Il Deficit dell'attenzione e iperattività è un disturbo sempre più diagnosticato, specie negli Stati Uniti, dove sembra colpisca l'11% dei bambini. Sull'argomento Stella Savino ha girato un documentario, nelle sale dal 26 giugno

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Il documentario 'Adhd Rush Hour’, diretto da Stella Savino, illustra attraverso varie testimonianze un disturbo diagnosticato sempre più frequentemente: il Deficit dell’attenzione e iperattività (Adhd).

Armando, diciannovenne romano che ancora frequenta il terzo anno delle scuole superiori, racconta la sua esperienza della malattia e spiega gli effetti che la terapia ha su di lui: lo rende estremamente vigile e resistente alla fatica, ma gli provoca anche una sorta di sdoppiamento della personalità. Zache è un bambino statunitense di 10 anni al quale è stata diagnosticata l’Adhd all’asilo; la sua vicenda è riportata dalla mamma Traceye. La donna illustra i problemi che il figlio ha con i farmaci: li metabolizza così velocemente che dopo poche settimane comincia a manifestare insopportabili effetti collaterali.

Infine c’è Lindsay, una venticinquenne dell’Iowa che vive a New York, alla quale a 21 anni è stata diagnosticata la Sindrome da deficit di attenzione. La sua storia dimostra che la patologia colpisce non solo soggetti in età evolutiva ma anche adulti. Una parte delle riprese del film riguarda poi un 'Summer Tratment Program’, un campo estivo molto particolare nel quale lezioni in classe, attività sportive e ricreative insegnano ai bambini affetti da Adhd a potenziare la loro attenzione e concentrazione e a socializzare, mediante un sistema severo di punteggio.

A dire la loro sono anche i ricercatori: da Stefano Canali, docente di Storia della medicina e bioetica all’Università 'Sapienza’ di Roma, che illustra la storia delle sostanze psicoattive, il funzionamento nel cervello e le conseguenze sull’organismo e sulla mente, a Gene Jack Wang, esperto di Brain Imaging, che sta effettuando ricerca sugli effetti di alcune sostanze usate per la cura dell’Adhd, fino agli scienziati dei laboratori dell’Image Project del King’s College di Londra, che cercano nel Dna la prova dell’eredità genetica del Deficit dell’attenzione e iperattività.

Una scena del documentario Adhd Rush Hour

Tante, insomma, le questioni sollevate dalla pellicola. Ma come si diagnostica questa patologia? “Quella dell’Adhd è una diagnosi molto controversa nel campo della salute mentale, per diversi motivi”, spiega Raffaella Pocobello dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Cnr di Roma. “In primo luogo, per una questione di validità di costrutto: i sintomi chiave - iperattività, impulsività, mancanza di attenzione (soprattutto per le materie scolastiche) - sono elementi comuni nell’infanzia. In secondo luogo, la diagnosi deriva principalmente dalle lamentale degli insegnanti. E, in effetti, la valutazione si basa fortemente su questionari di valutazione compilati da genitori e docenti, determinando un rischio di 'falsi positivi’”.

Ma i problemi sono anche altri. “Nonostante i forti investimenti dell’industria farmaceutica per dimostrarne l’origine biologica, l’eziologia della sindrome rimane incerta”, prosegue la ricercatrice dell’Istc-Cnr. “Se negli anni ’90 gli esperti erano legittimati a supporre che l’Adhd avesse un’origine genetica, nel mondo scientifico attuale questa supposizione appare 'naive’. Anche i tentativi di individuare uno specifico squilibrio chimico nei bambini con Adhd hanno dato risultati deludenti. Si può quindi affermare che non è mai stata davvero scoperta una 'malattia’ chiamata Adhd”.

Eppure, come Savino riporta nel documentario, si registra la sempre più ampia diffusione di questa malattia: specie negli Usa, dove, secondo i medici, colpisce l’11% dei bambini e dove per curarla, si fa ricorso sempre più spesso a psicofarmaci, che vengono considerati efficaci. “Chi si occupa di valutazione degli esiti non può fare a meno di chiedersi: efficaci per cosa e secondo chi?”, sottolinea Pocobello. “Se andiamo a guardare in modo attento, ci accorgiamo che sono soprattutto gli insegnanti e i genitori ad apprezzare l’efficacia del trattamento farmacologico, in relazione al rendimento scolastico. Come testimoniato anche nel documentario, essi riportano che immediatamente dopo le prime somministrazioni appare un 'effetto miracoloso’ del farmaco sulla capacità di concentrazione del bambino e sulla sua capacità di stare fermo: in altre parole ha perso la vivacità che gli adulti del suo contesto avevano difficoltà a gestire. Come dice chiaramente la mamma italiana nel lungometraggio, il farmaco aiuta il bambino a 'essere come tutti gli altri’. Inoltre, come mostrano recenti studi sul rendimento scolastico, emerge che si ha miglioramento sul breve termine, mentre sul lungo periodo sembrano non esserci differenze o i bambini trattati rendono addirittura meno. C'è insomma bisogno di maggiori studi sulle correlazioni tra Adhd e stili di vita dei bambini”.

Secondo la ricercatrice del Cnr è opportuno porsi un interrogativo: “È eticamente corretto intervenire sul carattere di un essere umano per 'adattarlo’ alle aspettative del suo contesto, correndo dei rischi seri per la sua salute e omologando la nostra società?”.

La scheda

Titolo: Adhd Rush Hour

Regia: Stella Savino

Distribuzione: Microcinema

Uscita in Italia: 26 giugno 2014

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