Focus: Paura

Una profezia auto-avverante

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di Rita Bugliosi

A provocare la paura sono processi neurofisiologici indispensabili, come illustra Antonio Cerasa, neuroscienziato dell'Istituto per la ricerca e l'innovazione biomedica del Cnr. Ad alimentarla però è spesso la stessa ansia di provarla, che innesca un circolo vizioso e rende molto difficile superarla 

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La paura è una sensazione emotiva forte, che provoca anche risposte fisiche: fa impallidire, tremare, ansimare, sudare. Ma è fondamentale, perché ci permette di reagire rapidamente e con efficacia quando ci troviamo in situazioni rischiose. È quindi del tutto normale se la sua intensità è proporzionata alla minaccia. A scatenarla, dal punto di vista fisico, è un preciso processo neurofisiologico.

A scatenarla, dal punto di vista fisico, è un preciso processo neurofisiologico. “La paura si innesca quando i nostri sistemi sensoriali (visivo, acustico, etc.) percepiscono uno stimolo che ha carattere di pericolosità. Questa percezione avvia immediatamente l'attività del sistema limbico, scatenando la condizione del 'fight o flight', cioè combatti o scappa”, spiega Antonio Cerasa, neuroscienziato dell'Istituto per la ricerca e l'innovazione biomedica (Irib) del Cnr. “Neurobiologicamente è possibile studiare la genesi neurale della paura usando quello che viene chiamato 'fear conditioning', un semplice protocollo di condizionamento tra uno stimolo neutro e uno stimolo doloroso. Una volta che il condizionamento è avviato, si forma nuova plasticità neurale all'interno dell'ippocampo (area della memoria) che si attiva ogni volta che ci si trova di fronte allo stimolo che è stato condizionato. Il network della paura coinvolge però anche altre strutture come l'amigdala e la corteccia orbitofrontale. Ed è proprio l'amigdala che attiva l'asse ipotolamo-ipofisi-surrene per avviare una serie di reazioni a catena, quali aumento del battito cardiaco, respirazione, iperattività, ipervigilanza, rilascio di cortisolo. Questa serie di eventi ha una forte ricaduta sul corpo umano, dove la paura si localizza espressamente a livello del cuore e dello stomaco”.

In alcuni casi, però, questa naturale sensazione raggiunge livelli eccessivi. “Il meccanismo della paura funziona perfettamente quando si tratta di normali adattamenti all'ambiente esterno, quando invece giunge a livelli patologici si può arrivare a sviluppare un disturbo postraumatico da stress (Ptsd)”, chiarisce il ricercatore. “Ciò avviene perché eventi o stimoli hanno lasciato in memoria un tale livello di stress da indurre forti disequilibri organici e psicocognitivi, che si ripetono ogni qualvolta la persona viene in contatto (anche immaginario) con lo stimolo trigger, ossia l'elemento in grado di ri-attivare ricordi relativi al vissuto traumatico”.

Oltre alle condizioni in cui la paura è indotta da un semplice condizionamento o da un forte evento stressante, rispetto a tutte le altre specie animali, l'essere umano è l'unico capace di creare forme di paure sociali.  “Esiste quella che può essere definita la 'paura di avere paura', una forma di condizionamento che deriva dai mass-media o dalle pressioni sociali, che innesca dentro di noi la sensazione che un determinato stimolo, che prima consideravamo neutro, ora invece potrebbe provocare dolore”, sostiene Cerasa. “Si tratta di una sensazione di pericolo (immaginaria), indotta dalle continue sollecitazioni mediatiche che spingono il singolo individuo ad avere paura per qualcosa che in realtà non nasconde in sé un danno immediato per l'organismo. Esistono numerosi esempi di paure indotte dall'esterno, come la paura del diverso (paura dello straniero, persona di colore) o quella per determinate categorie di cibo (paura dei carboidrati o dell'olio di palma). Questa forma di terrore diventa una sottile e continua condizione di ansia che accompagna la persona ogni qual volta si trova coinvolta in situazioni in cui è a contatto (diretto o anche indiretto) con lo stimolo condizionato dalla pressione sociale”.

La “paura di avere paura” può presentarsi non solo a causa di pressioni sociali, ma anche provocata da condizioni interne. “È forse una delle forme peggiori di paura, perché è autoindotta: gli altri non la vedono o non la capiscono e la persona non sa come reagire. Un esempio classico sono le condizioni di paura che subentrano dopo aver sofferto di attacchi di panico”, precisa il neuroscienziato. “Chi li ha avuti conosce molto bene lo stato di terrore che si prova nel sentire il proprio corpo in preda a forti dolori al petto e alla perdita del controllo del respiro. Se questi eventi, imprevedibili, si verificano in determinati contesti, come guidare un'auto o fare un viaggio in aereo, ogni volta che la persona si ritrova negli stessi situazioni sente uno stato di angoscia profondo, perché ha timore di riprovare ancora quei dolori. È, appunto, la paura di avere paura”.

Si può quindi dire che la paura è per l'essere umano una sensazione a forte connotati cognitivi, che si alimenta grazie alla fantasia e ai pensieri. “Non sapere cosa si nasconde dietro qualcosa è una delle maggiori fonti da cui si alimenta la paura, basti pensare al terrore che provano i bambini lasciati soli in una stanza buia”, conclude Cerasa. “Ma se da piccoli l'unico modo per sconfiggerla è accendere la luce, da adulti, invece, dobbiamo ricorrere alla conoscenza: più cose apprendiamo e meno saremo esposti a influenze mediatiche o a vissuti interni. Per forme più gravi come la Ptsd, esistono invece cure efficaci, quali la Emdr”.

Fonte: Antonio Cerasa, Istituto per la ricerca e l'innovazione biomedica , email antonio.cerasa@cnr.it -

 

 

 

 

 

 

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