Focus: Agroalimentare

La Malvasia moscata torna nel bicchiere

biscotti
di Silvia Mattoni

Trascurato nell'ultimo secolo fin quasi all'abbandono, oggi questo vitigno si ripropone nuovamente all'attenzione di viticoltori e consumatori per la sua intensa aromaticità. Dopo che una serie di ricerche ne hanno delineato la storia ed evidenziato il valore agronomico ed enologico

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"L'impronta varietale data dall'uva utilizzata per la vinificazione è uno degli elementi di maggiore impatto sull'espressione delle note organolettiche dei vini. Se poi la varietà di vite è un vecchio vitigno 'dimenticato', uno di quelli quasi scomparsi dai nostri vigneti per effetto della modernizzazione nell'assortimento, ma di locale valore storico e culturale, allora la questione si fa ancor più affascinante". A dirlo è Anna Schneider dell'Istituto di virologia vegetale (Ivv) del Cnr di Grugliasco (Torino), che ha condotto uno studio sull'attività di recupero, caratterizzazione e conservazione del germoplasma della Malvasia Moscata, grazie alla collaborazione dell'Università di Torino, dell'Associazione vignaioli piemontesi, della Scuola Malva Arnaldi e con il sostegno finanziario della Regione Piemonte.

La Malvasia moscata è un vitigno a uva bianca considerato storico per il Piemonte. Trascurato fin quasi all'abbandono, oggi si ripropone nuovamente all'attenzione di viticoltori e consumatori per la sua intensa aromaticità, dopo che una serie di ricerche ne hanno delineato la storia ed evidenziato il valore agronomico ed enologico.

Ma perché una cultivar così diffusa e stimata dagli autori del passato è potuta finire nel dimenticatoio? "L'oblio che ha interessato molti vitigni non sempre è determinato da caratteristiche qualitative inferiori: in questo caso all'origine c'è la sensibilità della Malvasia moscata all'oidio, una malattia delle piante causata da funghi", continua Schneider. "In un'epoca in cui la lotta a questa patologia non era perfezionata come ai giorni nostri, tale suscettibilità ha significato dare la preferenza nei nuovi impianti al Moscato bianco".

Nella seconda metà dell'Ottocento, grazie al progresso dell'industria enologica, il Moscato bianco è così diventato la base per la produzione di un vino dolce aromatico, il famoso Asti spumante, che ha conquistato i mercati di tutto il mondo. E proprio con la sua affermazione, la coltura del Moscato si è potuta espandere ulteriormente.

"Oggi la Malvasia moscata, superata la difficoltà dell'oidio, potrebbe riprendersi almeno una parte della fama di un tempo", chiarisce la ricercatrice del Ivv-Cnr. "Le sue uve, oltre alla rilevante e persistente aromaticità, si prestano a dare vini secchi, che il suo diretto concorrente, il Moscato bianco, non riesce a fornire di altrettanta piacevolezza, per la comparsa di una nota sensoriale amara più o meno intensa, ma sempre sgradevole".

I vini secchi e aromatici, per contro, tanto più se di gamma olfattiva ricca e complessa come la Malvasia moscata, stanno riscuotendo un crescente successo per il consumo come aperitivo o abbinati a cibi particolari. Il contrasto tra l'intensa fragranza e l'assenza di zuccheri residui li rende infatti singolari, assolutamente originali e capaci di destare nel consumatore curiosità e interesse.

"In attesa della prossima iscrizione di questo vitigno 'dimenticato' nel Registro nazionale delle varietà di vite che ne renderà possibile l'utilizzo da parte dei viticoltori e la comparsa del vino sul mercato, conclude Anna Schneider la Malvasia moscata è stata intanto presentata al Salone internazione dei vini e dei distillati 'Vinitaly'".

Silvia Mattoni

Fonte: Anna Schneider, Istituto di virologia vegetale, Grugliasco, tel. 011/6708745 , email a.schneider@ivv.cnr.it -

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