Focus: Intrecci

L’intreccio di parole che modella il nostro presente

Macchina da scrivere antica
di Francesca Gorini

In un mondo che cambia in fretta, niente più del linguaggio riflette l’evoluzione dei comportamenti della società e le sue connessioni con la cultura, la tecnologia, il mondo globale in cui siamo immersi. Ne abbiamo parlato con Lucia Francalanci, ricercatrice dell’Istituto Opera del vocabolario italiano del Cnr

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“Le parole sono importanti!”, recitava Nanni Moretti nell’indimenticato film “Palombella Rossa”, invitando un’imbarazzata giornalista a un uso consapevole e responsabile del linguaggio. In effetti, la lingua non è solo uno strumento per comunicare, è lo specchio della società in cui viviamo, frutto di intrecci e connessioni che hanno a che fare con l’evoluzione della cultura, della tecnologia, del mondo globale in cui siamo immersi.

Il linguaggio cambia con noi, cresce con noi, ci racconta: analizzarlo oggi, così come andare a ritroso nel passato per capire le sue trasformazioni, ci restituisce qualcosa della nostra identità. E se quotidianamente è normale familiarizzare con neologismi e parole nuove - magari mutuate dall’inglese - o rivestire di nuovi significati espressioni già note, molto più raramente ci chiediamo da dove vengano quelle stesse parole, perché diventino di uso comune, perché alcune restino e altre scompaiano.

“La lingua è da sempre in movimento: cambia, si adatta, si arricchisce, riflettendo i mutamenti della società e della cultura. Ciò comporta, da un lato, la perdita di forme desuete ma anche di usi ormai consolidati, dall’altro, l’introduzione di nuove parole e forme comunicative”, spiega Lucia Francalanci, ricercatrice dell’Istituto Opera del vocabolario italiano (Ovi) del Cnr, che da anni lavora sul tema. “L’influenza dell’inglese sulla lingua contemporanea è oggi evidente a tutti, è infatti soprattutto dall’inglese che l’italiano attinge in campi come l’informatica, l’economia, la tecnologia, introducendo nuove parole sotto forma di prestiti integrali. Ed è ancora l’influenza dell’inglese che porta spesso alla nascita di nuovi significati per vocaboli che già esistono da tempo nella nostra lingua. Ma il cambiamento e il contatto linguistico non sono soltanto una prerogativa della lingua contemporanea, se osserviamo l’italiano in prospettiva storica, vediamo un’evoluzione continua: dal latino ai volgari, dal fiorentino letterario alla lingua nazionale”.

L’italiano, come tutte le lingue, è sempre stato un intreccio di fili, molti dei quali invisibili. “Dietro ogni parola si nascondono storie, incontri, contatti e legami tra persone e culture, tra passato e presente, tra ciò che è vicino e ciò arriva da lontano. L’origine delle parole è uno di questi fili invisibili, che si può scoprire soltanto seguendo le tracce lasciate dal passato”, aggiunge la ricercatrice.

Il Cnr-Ovi, presso il quale Francalanci lavora, è attivo nello studio dell’italiano antico, ne è un esempio il Tesoro della lingua italiana delle origini (TlioO), il vocabolario storico basato su tutta la documentazione disponibile a partire dal primo testo che si può definire “italiano” fino alla fine del Trecento. “La maggior parte delle voci presenti nell’italiano antico ha origine nel latino, ma non mancano termini che hanno etimi più lontani, come cotone, magazzino e zucchero, che vengono dall’arabo e si sono diffusi grazie al lessico commerciale”, prosegue l’esperta. “Moltissime parole che usiamo oggi erano già attestate nei testi medievali, non soltanto in quelli letterari, anche in documenti, lettere, testi pratici e religiosi. Tali parole sono ancora vive nella lingua contemporanea, seppure in alcuni casi con qualche variazione grafica, spesso con lo stesso significato, talvolta con nuove accezioni nate, in epoche più recenti, dai cambiamenti sociali e culturali. Ne è un esempio l’aggettivo gentile, che anticamente aveva come significato ‘nobile per nascita’. Ciò che intendo sottolineare è che le parole del passato non rimangono cristallizzate, ma viaggiano insieme a noi, nel tempo, ma anche nello spazio”.

Una scena del film "Palombella rossa"

Sono molti, infatti, gli italianismi che hanno oltrepassato i confini nazionali e sono giunti in altre lingue. “Pensiamo alle parole della musica, dell’arte, della cucina, della moda - adagio, allegretto, artista, mozzarella, eccetera -, ‘viaggi internazionali’ iniziati già nel medioevo, insieme con i prodotti diffusi dai mercanti italiani. La storia dell’italiano è, quindi, sempre stata una storia di intrecci, contatti, parole accolte, adattate, perse e recuperate”, aggiunge Francalanci.

Oggi nuovi impulsi arrivano soprattutto dai cambiamenti sociali, si pensi a espressioni come body positivity, cancel culture o gender fluid, che riflettono nuove sensibilità sociali e culturali legate all’identità e alla diversità. Oppure sono legati all’evoluzione tecnologica e al digitale; persino i sistemi automatici, come traduttori, chatbot, assistenti vocali, partecipano ormai al nostro ecosistema linguistico. Il web e le tecnologie digitali, infatti, contribuiscono in larga misura all’adozione di termini inglesi e alla coniazione di neologismi. Ma, chiarisce la ricercatrice, un’altra fonte di innovazione è il lessico giovanile: “Parte dei termini nasce come un fenomeno occasionale, ma talvolta qualche parola riesce a varcare i confini del gergo e a entrare nella lingua comune. Significativo per il lessico giovanile è il ruolo dei social, così come quello della musica e del gaming”.

Ed è soprattutto nella comunicazione digitale che si creano nuovi intrecci, si formano nuove modalità di espressione, si mescolano oralità e scrittura, formalità e informalità, vocaboli specialistici e lingua d’uso, termini inglesi e italiani, gerghi diversi; si rimodellano i tradizionali generi testuali; si offrono nuovi spazi alle lingue minoritarie e ai dialetti. “Tutto questo dimostra come la lingua sia in costante dialogo con la società. Nelle parole si riflettono i cambiamenti della cultura, i valori di un’epoca, le relazioni tra le persone. Ed è in questo intreccio di voci, esperienze e culture che la lingua continua a rinnovarsi, senza però mai spezzare il legame con la memoria del passato”, conclude Francalanci.

Fonte: Lucia Francalanci, Cnr-Ovi, email: lucia.francalanci@cnr.it