Curiosità: Intrecci

Effetto geco

Geco su un vetro verticale
di A. C.

Il geco riesce a correre sui muri e perfino a testa in giù grazie a un sistema di adesione “a secco” unico al mondo: milioni di peli microscopici sulle zampe sfruttano interazioni molecolari invisibili e un sottile rivestimento lipidico per garantire una presa straordinaria. Un mix di fisica, chimica e biologia che sta ispirando nuovi materiali e adesivi biomimetici

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Molti insetti sono in grado di camminare sui vetri o di arrampicarsi senza difficoltà su superfici verticali, grazie a minuscole ventose o secrezioni adesive. Ma il caso del geco è diverso e molto più sorprendente: parliamo infatti di un vertebrato grande e pesante, che può superare i 200 grammi e che riesce comunque a correre a testa in giù sul soffitto senza alcuno sforzo apparente. La sua capacità adesiva è talmente efficiente da non richiedere colla, liquidi o ventose, ma si basa su un meccanismo completamente diverso, legato a interazioni molecolari che si sviluppano su scala nanometrica. Ed è proprio questa combinazione di dimensioni corporee relativamente grandi e di adesione “a secco” che ha reso il geco uno dei modelli più studiati e fonte d’ispirazione per nuove tecnologie biomimetiche.

Le prime osservazioni su gechi capaci di “camminare a testa in giù” furono attribuite ad Aristotele. Nel corso del XIX secolo, vari scienziati ipotizzarono diversi meccanismi, tra cui la presenza di colla, ventose, interlocking, attrito, elettricità statica e forze capillari, che furono smentiti all’inizio degli anni 2000, quando un gruppo di ricercatori mostrò che il segreto non stava in ventose, colle o cariche elettrostatiche, bensì nelle forze di van der Waals, deboli interazioni molecolari che, moltiplicate per milioni di minuscole strutture chiamate setae, producono una forza d’aderenza enorme rispetto al peso del geco[1].

Negli anni successivi, però, si è capito che la storia non si esauriva qui. Esperimenti più raffinati hanno rivelato che entrano in gioco anche interazioni acido-base, che aggiungono una componente chimica e spiegano perché fattori come l’umidità o la natura del materiale possano modificare le prestazioni adesive[2].

Altri studi hanno poi scoperto che le spatole del geco sono rivestite da un film lipidico ultrasottile[3]. Questo strato, invisibile ma ordinatissimo, sembra avere un ruolo fondamentale: riduce l’usura, regola le interazioni molecolari e aiuta le zampe ad adattarsi a superfici diverse. In altre parole, non è solo la struttura fisica a contare, ma anche la chimica della superficie. Un design naturale che ha ispirato la ricerca sugli adesivi biomimetici[4][5], con possibili applicazioni che spaziano dalla robotica all’elettronica, dalla medicina all’industria aerospaziale, grazie alle loro proprietà di adesione asciutta, riutilizzabile e senza residui.

Zampa di geco

Proviamo a fare una piccola carrellata delle possibili applicazioni, iniziando dai “robot arrampicatori” che sarebbero capaci di scalare superfici verticali lisce o vetrate. E proseguiamo con i “gripper robotici” per manipolare oggetti fragili o a geometria irregolare senza danneggiarli. In medicina invece si stanno sviluppando cerotti e patch biometrici utilizzabili per la chiusura di ferite, come alternativa a punti di sutura, e per il fissaggio di dispositivi elettromedicali sulla pelle, garantendo sicurezza, igiene e facilità di rimozione senza traumi. In corso ci sono ricerche su impieghi interni in chirurgia, come patch riassorbibili per la riparazione di organi o tessuti. L’industria aerospaziale, ad esempio, mira alla produzione di nastri dry-adhesive per fissaggi temporanei e manutenzioni rapide su superfici sensibili in aeronautica e difesa, dove l’assenza di residui è essenziale. O ancora all’utilizzo in assemblaggi industriali avanzati, come fissaggio temporaneo di componenti, e persino come sistemi per l’ancoraggio di oggetti in assenza di gravità.

Anche la Nasa[6], infatti, fu subito interessata a questa tecnologia di “adesione” per le operazioni spaziali, spiegando che muoversi in microgravità è più un problema di arrampicata che di camminata e sottolineando che cuscinetti simili a quelli dei gechi sarebbero facili da usare, resistenti alle radiazioni e non farebbero affidamento su ventose o altre tecnologie che sarebbero inutili nel vuoto.

Gli esempi sono tantissimi e in alcuni casi hanno portato alla realizzazione di prodotti già presenti in commercio come nastri adesivi o cerotti biomimetici.

Dalle prime osservazioni macroscopiche di Aristotele, ai dettagli invisibili delle interazioni molecolari, il geco si conferma un vero capolavoro di ingegneria naturale: un animale che cammina sulle pareti grazie a un’armoniosa combinazione di fisica, chimica e biologia. E chissà se nel futuro tutti noi potremmo indossare guanti e calze “gecko like” per arrampicarci sui muri come moderni Spider-Man.

Fonti:
[1] Autumn, K. et al. “Evidence for van der Waals adhesion in gecko setae”. Pnas (2002).
[2] Singla, S. et al. “Direct evidence of acid–base interactions in gecko adhesion”. Science Advances (2021).
[3] Rasmussen, M. H. et al. “Evidence that gecko setae are coated with an ordered nanometer-thin lipid film”. Biology Letters (2022).
[4] Materzok, T. et al. “Gecko adhesion: a molecular-simulation perspective”. Soft Matter / Small (2022–2023).
[5] Gao, H. et al. “Mechanics of hierarchical adhesion structures of geckos. Progress in Materials Science” / Journal of the Royal Society (2005).
[6] Nasa - New Commercial Robot Copies Geckos’ Toes

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