Focus: Intrecci

Relazioni complicate nel fragile equilibrio tra i viventi

Insetti
di Katia Genovali

Le interazioni tra gli organismi, così come vengono definite in ecologia, possono ricordare un complicato intreccio: più grande è questa matassa, più complesso - e spesso più resistente agli stress esterni - è un ecosistema. Ce ne parla Gianluca Corno dell’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr

Pubblicato il

Da una piccola particella organica in mezzo all’oceano, colonizzata da batteri, archaea (archeobatteri), virus, alghe, protisti e zooplancton di minuscole dimensioni, fino ad arrivare alla Terra, nella sua interezza ogni ecosistema, dal più minuscolo al più grande, contiene tra le sue componenti un’intricata rete di interazioni, che possono essere estremamente articolate. “Si tratta di una complessità che, in generale, non dipende tanto dalle dimensioni dell'ecosistema, quanto da una miriade di fattori incrociati tra loro”, spiega Gianluca Corno dell’Istituto di ricerca sulle acque (Irsa) del Cnr. “La nostra particella nell’oceano può contenere, infatti, la stessa complessità di intrecci presenti negli ecosistemi più grandi che la contengono, riuscendo anche a influenzarli”. 

Tutte le specie all’interno di un ecosistema sono legate da relazioni ecologiche che possono sembrare, a prima vista, negative: competizione per i nutrienti, predazione di una specie su un’altra o comparsa di virus, tutti meccanismi potenzialmente in grado di portare a un vero e proprio collasso di una popolazione. Questi legami, apparentemente limitanti, mantengono in realtà l’ecosistema in equilibrio, poiché evitano il sopravvento di alcune specie rispetto ad altre.

Accanto a questi fattori, ne esistono altri di segno opposto: simbiosi, mutualismo e cooperazione permettono la sopravvivenza di specie che, singolarmente, avrebbero un limitato accesso alle risorse, creando vantaggi reciproci e permettendo di superare le carenze adattative delle singole specie. “Pensiamo, per esempio, alla savana. Le specie che riescono ad avvistare un predatore da lontano vengono tollerate all’interno di branchi di altre specie, con cui condividono lo stesso cibo e la stessa acqua, perché portano benefici per tutti”, prosegue il ricercatore.

Ecosistema

Gli intrecci tra organismi spesso non sono stabili nel tempo, ma rispettano un equilibrio dinamico. “In un lago di alta montagna, dopo il disgelo, prima crescono le alghe, che producono carbonio; poi i batteri, che lo consumano; quindi, lo zooplancton, che si nutre dei batteri, e, facendolo, libera sostanze organiche, che alimentano di nuovo le alghe, permettendo il ripetersi del ciclo, fino a quando con la stagione fredda il lago si copre di nuovo di ghiaccio e quasi tutti gli organismi entrano in una sorta di letargo aspettando un nuovo disgelo”, racconta Corno. “L’insieme degli intrecci regola l’ecosistema Terra, ma alcune specie riescono a modificarlo per adattarlo alle loro necessità. Si parla in questi casi di ‘engineering species’ o ‘ingegneri ecosistemici’. Pensiamo ai castori, che costruendo dighe cambiano il corso di torrenti e fiumi, creando nuove reti di interazioni. Ma la specie in questo senso più abile - e anche più distruttiva - è l’essere umano, la cui azione è spesso così incisiva da alterare in modo definitivo gli ecosistemi, dai più piccoli fino all’intero Pianeta”.

Oggi, l’inquinamento diffuso, il riscaldamento delle acque e dell’aria, l’urbanizzazione e l’agricoltura intensiva stanno generando nuove interazioni tra le specie, molte delle quali non sono tollerate da altrettante specie microbiche, animali e vegetali. “La nostra conoscenza dell’ecologia è ancora troppo limitata per prevedere quale tipo di ecosistema-pianeta stiano producendo questi nuovi intrecci. Ciò non impedisce però agli esseri umani di proseguire, spesso alla ricerca del profitto, nella loro opera di ingegneria ambientale incontrollata. Le conseguenze possono essere gravi: intrecci diversi tra organismi e ambiente modificato potrebbero per esempio favorire la crescita di microrganismi patogeni, la diffusione di batteri antibiotico-resistenti e, in generale, un'accelerazione nella perdita di biodiversità già in atto”, avverte l’esperto, che conclude: “Prendere coscienza che, alla fine di uno dei fili di questa grande matassa, c’è la nostra stessa sopravvivenza sarebbe il primo passo per evitare che, tra le tante specie di cui prevediamo la prossima estinzione, ci sia anche la nostra”.

Fonte: Gianluca Corno, Istituto di ricerca sulle acque, gianluca.corno@cnr.it

Tematiche
Argomenti