Una prospettiva inedita sulla siccità
Una ricerca recentemente pubblicata su Scientific Reports, realizzata congiuntamente dall’Istituto per la bioeconomia (Ibe) e dall’Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile (Ircres) del Cnr, analizza il fenomeno della propagazione della siccità con gli strumenti della scienza delle reti, fornendo un innovativo contributo di conoscenza per lo sviluppo di nuovi strumenti di governance per la gestione delle risorse idriche. Ne abbiamo parlato con Massimiliano Pasqui del Cnr-Ibe e con Antonio Zinilli del Cnr-Ircres
Cosa lega Vito Volterra - fondatore del Consiglio nazionale delle ricerche - alla network science e al bacino del Po? A unirli è un’intuizione che percorre tutta la storia del Cnr e che oggi emerge come tendenza di ricerca avanzata: dall’Intelligenza Artificiale all’informatica umanistica o digital humanities, le novità scientifiche capaci di maggior impatto sociale hanno carattere interdisciplinare. E Vito Volterra lo aveva capito già 100 anni fa, con una visione lucidissima del futuro: per andare incontro al progresso occorreva che l’allora nascente Cnr fosse luogo d’integrazione di approcci, linguaggi e strumenti, di discipline diverse. Lo statuto dell’Ente lo dichiara fin dai primi articoli: il Cnr svolge ricerche “perseguendo l’integrazione di discipline e tecnologie” (art. 2) e “promuove l’interdisciplinarità” (art. 3).
Vediamo allora in che modo il bacino del Po e la network science rientrano in questo discorso attraverso una ricerca recentemente pubblicata su “Scientific Reports” (Nature Portfolio), realizzata congiuntamente dall’Istituto per la bioeconomia (Ibe) e dall’Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile (Ircres) del Cnr. Lo studio propone un’analisi innovativa del fenomeno della propagazione della siccità nel bacino del Po, applicando gli strumenti della scienza delle reti per comprendere come gli eventi di siccità si diffondano e si sincronizzino tra le diverse aree del territorio. Una metodologia che, in questo ambito, si sta rivelando uno strumento conoscitivo estremamente promettente.
“Per testarla, abbiamo scelto il bacino del Po, perché lo abbiamo valutato un territorio particolarmente interessante sotto molti punti di vista: 86.000 km quadrati, con un reticolo naturale di canali che si dipana per 23.000 km e uno artificiale di oltre 68.000, caratterizzato dalla presenza di numerosi habitat protetti e specie endemiche, ma anche un’area tra le più vulnerabili agli effetti della crisi climatica”, spiega Massimiliano Pasqui, ricercatore del Cnr-Ibe e membro del team Osservatorio Siccità. “Un territorio che, dal fiume fino al mare, interessa 8 regioni, 39 province, 5 città metropolitane e circa 3.300 comuni, e rilevante anche dal punto di vista demografico - con circa 20 milioni di abitanti - e produttivo, essendo un distretto da cui proviene oltre il 40% del Pil nazionale. La somma di tutti questi fattori lo rendeva un contesto ideale per sperimentare questa metodologia”.
Tabella della siccità del Po
Utilizzando un modello reticolare del territorio, i ricercatori hanno studiato come ciascun punto interagisca non solo con i suoi “vicini”, ma anche con aree più lontane, fino a oltrepassare i confini del bacino, per comprendere le sincronie che si sviluppano quando un evento di siccità appare e si diffonde. “In questo modo, abbiamo potuto studiare le aree interessate dagli eventi di siccità non solo nel consueto spazio fisico, ma anche in uno spazio dove esiste solo la relazione temporale tra luoghi differenti. Abbiamo studiato le caratteristiche ricorrenti dei punti che ‘si attivano’ durante eventi di siccità intensa e prolungata - siccità di tipo idrologico - in maniera sincrona al variare della loro distanza spaziale, individuando così veri e propri hub di sincronizzazione climatica”, chiarisce il ricercatore del Cnr-Ibe.
“Quest’analisi ci ha mostrato che la siccità nel bacino del Po non si propaga in modo casuale, ma segue delle dinamiche ricorrenti: alcune aree agiscono da veri e propri ‘hub’, dove le condizioni di siccità si trasmettono altrove. Inoltre, non tutte le zone hanno lo stesso ‘peso’: alcune sono ‘sorgenti’ dove si innesca la propagazione, altre sono ‘crocevia’ dove si diffonde, altre ancora funzionano da ‘ricettori’”, approfondisce Antonio Zinilli, ricercatore del Cnr-Ircres e studioso di network science.
L’analisi ha permesso di identificare 3 grandi areali - o “comunità” nel linguaggio delle reti - climaticamente distinte: area settentrionale del bacino (zone alpine e prealpine), caratterizzate da eventi siccitosi persistenti, ma meno frequenti che altrove e spesso zone dove si origina la propagazione; area occidentale del bacino (zone alpine, prealpine, appenniniche e di pianura), che si colloca lungo i percorsi di propagazione della siccità, quindi sono zone di transizione, intermedie, caratterizzate da un’elevata variabilità dei fenomeni siccitosi che la interessano; area orientale del bacino, con elevata centralità nella rete, un vero e proprio hub dove gli eventi di siccità tendono a transitare e anche se per brevi periodi.
“Si tratta di una prospettiva nuova, che si caratterizza per il tentativo di dare un’interpretazione sistemica alla siccità, considerandola anche attraverso le sue interconnessioni tra aree che potrebbero non apparire collegate durante la propagazione, ma che invece lo sono”, sottolinea Pasqui.
“La metodologia che abbiamo sviluppato offre una prospettiva innovativa per affrontare le sfide poste dalla crisi climatica in atto e si propone come un contributo di conoscenza aggiuntivo, a disposizione delle autorità per la gestione delle risorse idriche, che potrebbe essere utile per il rafforzamento degli attuali strumenti di governance e per lo sviluppo di ulteriori”, conclude Zinilli.
Il futuro della scienza, in un mondo sempre più caratterizzato da problemi complessi, sarà tanto più promettente quanto più saprà collegare “vasti e disparati risultati di scienze diverse” come, già 100 anni fa, sognava Vito Volterra.
Fonte: Massimiliano Pasqui, Istituto per la bioeconomia, massimiliano.pasqui@ibe.cnr.it; Antonio Zinilli, Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile, antonio.zinilli@cnr.it