Cervello e Intelligenza Artificiale: uno scambio proficuo
A favorire lo sviluppo di questa tecnologia è stato infatti proprio lo studio del nostro cervello. E fondamentale è stato il contributo delle neuroscienze. Ma l’AI, a sua volta, supporta la ricerca, costituendo un aiuto significativo per l’avanzamento delle conoscenze, come spiega Erika Donà dell’Istituto di neuroscienze del Cnr
L’Intelligenza Artificiale (AI) è ormai parte della nostra vita quotidiana e ci supporta in vari settori. Per fare solo qualche esempio, nell’industria automobilistica ha portato alla creazione di veicoli autonomi; nel settore medico aiuta nella gestione delle cartelle cliniche e nell’ottimizzazione delle terapie; nel campo della cybersicurezza riesce poi a rilevare minacce in tempo reale, proteggendo i nostri dati personali o garantendo la sicurezza delle nostre transizioni online. Ma ha anche portato a strumenti come ChatGPT, in grado di generare testi simili a quelli umani, rispondendo a domande e svolgendo azioni testuali, come scrivere e-mail o fare traduzioni.
Non bisogna però credere che in questi importanti avanzamenti e in queste conquiste l’essere umano non abbia alcun ruolo, è infatti proprio lo studio del nostro cervello e dei suoi meccanismi ad aver ispirato, sin dalle origini, lo sviluppo di reti neurali artificiali, dimostrando come l’intreccio tra l’uomo e la tecnologia sia di estrema importanza e molto proficua per il nostro progresso. “Anche se oggi i cosiddetti Large Language Models (LLMs), come ChatGPT, non cercano più di imitare fedelmente i neuroni biologici, l’organizzazione e i principi di funzionamento del cervello rimangono la loro musa ispiratrice. Le loro “unità” di calcolo non sono copie dei neuroni, ma rimane l’ispirazione di fondo: sono connesse da legami più o meno forti (pesi), si organizzano in strati gerarchici e si aggiornano man mano che imparano, un po’ come accade nei circuiti cerebrali. Il principio è semplice: la rete fa un tentativo, si misura l’errore e questo errore viene usato per correggere le connessioni, così che il sistema migliori progressivamente le sue prestazioni”, spiega Erika Donà dell’Istituto di neuroscienze (In) del Cnr.
Cerchiamo allora di comprendere meglio da dove nasce questa idea e cosa ha portato a questi interessanti risultati. “All’origine c’è l’esigenza di risolvere un problema apparentemente semplice, ma in realtà difficilissimo per i computer tradizionali: riconoscere schemi complessi nei dati. Pensiamo al riconoscimento delle immagini: per un essere umano è immediato distinguere un volto, un oggetto o un paesaggio, ma come descrivere matematicamente tutte le possibili variazioni di luce, colore e forma che, per esempio, un gatto può avere in una foto? La risposta non era scrivere regole rigide, ma costruire un sistema capace di imparare da solo, riconoscendo regolarità e astrazioni, proprio come fa il cervello”, chiarisce la ricercatrice del Cnr-In.
Un contributo decisivo allo sviluppo dell’AI viene proprio dalle neuroscienze e risale a moti anni fa. “Già negli anni ’40 il neurofisiologo Warren McCulloch e il matematico Walter Pitts proposero un modello in cui un neurone artificiale si attiva, cioè “spara”, solo quando i segnali in ingresso superano una certa soglia: la prima, rudimentale imitazione del funzionamento dei neuroni reali. Poco dopo, lo psicologo Donald Hebb introdusse l’idea che ‘neuroni che sparano insieme, si collegano insieme’, fornendo un principio alla base dell’apprendimento biologico e ispirando gli algoritmi di machine learning, la branca dell’AI che insegna ai computer a imparare dall’esperienza, proprio come facciamo noi, in modo da eseguire compiti in maniera autonoma e migliorare le proprie prestazioni”, aggiunge Donà.
Un ulteriore passo avanti viene fatto negli anni ’60. “Le scoperte dei neurofisiologi David Hubel e Torsten Wiesel sulla corteccia visiva mostrarono che il cervello elabora le immagini in modo gerarchico, partendo dal riconoscimento di linee e bordi elementari, fino a oggetti complessi. Questa intuizione ha ispirato le reti convoluzionali (CNNs), oggi alla base della visione artificiale, tecnologia che consente alle macchine di interpretare, analizzare ed estrarre dati significativi da immagini e video, replicando la vista umana e le capacità cognitive: nei primi strati riconoscono tratti semplici, negli strati successivi combinano le informazioni giungendo a costruire forme più complesse, fino al riconoscimento dell’oggetto o della scena intera”, illustra l’esperta.
Ma gli avanzamenti non si sono arrestati qui, ci sono state infatti altre importanti intuizioni scientifiche. “Osservare che i neuroni comunicano tramite impulsi discreti (spikes) ha portato allo sviluppo delle Spiking Neural Networks (SNNs), reti che non considerano solo quali unità si attivano, ma anche quando. Questo le rende ideali per analizzare segnali temporali, come il linguaggio o i suoni”, continua la neuroscienziata.
È evidente, da quanto fin qui detto, che il dialogo e lo scambio tra le neuroscienze e l’IA sia molto vivo e che questa collaborazione comporta progressi in entrambi i settori; se infatti le scoperte biologiche forniscono ispirazione per l’avanzamento tecnologico, l’AI d’altro canto è diventato uno strumento fondamentale nell’ambito di ricerca, come si evince dallo studio raccontato da Donà: “Un caso emblematico è il connettoma di Drosophila, il moscerino della frutta. Il connettoma rappresenta una mappa completa di tutti i neuroni del cervello e di come questi sono connessi tra loro. Seppur piccolo, il cervello del moscerino della frutta è già estremamente complesso; per dare un’idea quantitativa, è composto da più di 140.000 neuroni. Qui l’AI è parte della ricerca stessa, perché permette di analizzare automaticamente le immagini acquisite al microscopio, ricostruire le reti neuronali e predire particolari caratteristiche dei neuroni che influenzano la loro funzione. La possibilità di studiare un sistema nervoso completo, frutto di milioni di anni di evoluzione, mostra come più reti diverse possano collaborare in parallelo per risolvere problemi di percezione, decisione e azione. Questi circuiti, perfezionati dall’evoluzione per garantire la sopravvivenza, sono oggi una delle fonti di ispirazione più preziose per costruire sistemi artificiali complessi. È la dimostrazione di come lo studio del cervello - grande o piccolo che sia - continui ancora oggi a guidare l’innovazione tecnologica, aprendo nuove strade per l’AI del futuro”.
Fonte: Erika Donà, Istituto di neuroscienze, erika.dona@in.cnr.it