Cambiamento climatico: il ruolo dei mari

Gli oceani e i mari assorbono circa il 90% del calore terrestre in eccesso; sono dunque dei serbatoi termici in grado di regolare e stabilizzare il clima. A partire dagli anni ’80, le agenzie spaziali come Nasa ed Esa monitorano attraverso i satelliti parametri come la temperatura di superficie e il livello medio dei mari, registrando un trend in continua crescita correlato al riscaldamento globale. L’incremento continuo del calore assorbito dai mari può essere tra le cause della crescente frequenza di eventi atmosferici estremi e violenti? Per comprenderlo abbiamo parlato con Antonello Pasini, climatologo dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Cnr
Quasi il 90% del calore generato dall’uomo è immagazzinato negli oceani e nei mari, come riporta il sito del Copernicus Marine Environment Monitoring Service, la sezione dedicata agli oceani e ai mari del programma Eu di monitoraggio satellitare terrestre Copernicus. Secondo i dati di Copernicus, negli ultimi 15 anni il calore assorbito è pari quasi a 15 volte il consumo mondiale di energia primaria del 2022, ovvero tutta l’energia utilizzata da privati, industrie, trasporti, servizi, dalla produzione stessa di energia e relative perdite nella rete. I dati, inoltre, mostrano un andamento in crescita continua a partire dagli anni ’70, con un’accelerazione negli ultimi 15 anni.
Il riscaldamento degli oceani è tra le cause dell'innalzamento del livello medio globale del mare: secondo i dati dei satelliti Nasa, nel 2024 il livello medio è cresciuto a una velocità più alta di quanto previsto, 0.59 cm per anno rispetto ai 0.43 cm/anno previsti. Dal 1993, data di inizio del monitoraggio con il lancio di Topex/Poseidon, il livello medio globale è cresciuto di ben 10 cm. Una delle variabili per seguire il riscaldamento dei mari è la Sea Surface Temperature (Sst), ovvero la temperatura della superficie del mare: i dati Copernicus dal 1993 al 2021 rivelano una crescita globale di circa 0.4°C, con un incremento continuo di 0.015°C per anno. E le cose non vanno di certo meglio per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo, con un incremento annuo di ben 0.041°C dal 1982 al 2023.
Viene dunque naturale chiedersi se il riscaldamento globale in atto sia correlato agli eventi estremi di cui, purtroppo, siamo stati testimoni negli ultimi 15 anni: le alluvioni in Piemonte nel 2025 e in Romagna nel maggio 2023, ad esempio, o l’eccezionale acqua alta del novembre 2019 a Venezia, quando la marea arrivò a quota 187 cm, valore più basso solo rispetto ai 197 cm dell’“aqua granda” che affondò la città nel 1966. Certo, da sempre abituati a passerelle in legno, stivali, sirene, per i veneziani “l’aqua alta” non è un fenomeno nuovo. Ma l’evento del 2019 può essere considerato come estremo, visti anche i danni arrecati alla città e alle isole della laguna veneta. Il Mose, infatti, era incompleto e le paratoie sono state alzate per la prima volta quasi un anno dopo, il 3 ottobre 2020. Da allora, l’opera è entrata in funzione per ben 100 volte, numero destinato ad aumentare stando alle proiezioni dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici: fra 100 anni, si stima che il Mose si alzerà 260 volte, con oltre 1 metro di medio mare in più rispetto alla situazione attuale.
“Se dovesse verificarsi lo scenario peggiore auspicato dall’Ipcc, l’innalzamento del livello del mare a fine secolo potrebbe superare il metro. E questo, in una zona dove non solo il mare si alza ma i suoli si abbassano per il bradisismo, potrebbe peggiorare di molto una situazione che già negli ultimi decenni è diventata critica. Si pensi che, mentre fino agli anni ’50 del secolo scorso si potevano contare dalle 2 alle 8 acque alte al di sopra dei 110 cm per ogni decennio, nei decenni seguenti questo numero è aumentato fortemente, fino a raggiungere oltre 90 acque alte dal 2010 al 2019”, spiega Antonello Pasini dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico (Iia) del Cnr.

Ma qual è l’influenza dell’aumento delle temperature sui mari? “Trascurando gli impatti sugli ecosistemi marini, che pure ci sono e sono importanti, dal punto di vista fisico un mare più caldo fornisce più vapore acqueo ed energia all’atmosfera. In questo modo c’è più materiale per formare le nubi - fatte di vapore acqueo condensato in acqua liquida o ghiaccio - che dunque possono rilasciare maggiori quantità di precipitazioni. Inoltre, la maggiore energia incamerata dall’atmosfera non può essere trattenuta a lungo e si scarica violentemente sui territori con piogge intense e venti forti”, chiarisce il ricercatore.
Venezia e le isole della laguna veneta sono un laboratorio prezioso per studiare gli effetti del cambiamento climatico sull’innalzamento dei nostri mari e quantificarne l’impatto, visto che altri fattori influiscono su tale aumento. “In questo laboratorio naturale possiamo studiare come fattori antropici e naturali si combinino per portare alle acque alte. Vi sono infatti gli effetti di marea di tipo astronomico, ma anche il cambiamento di circolazione nel Mediterraneo, in gran parte indotto dal cambiamento globale di origine antropica, che porta sempre più spesso la circolazione a disporsi lungo la direttrice sud-nord, anziché lungo quella ovest-est”, continua il climatologo. “Questo conduce ad avere più situazioni in cui venti di scirocco spingono l’acqua dal sud Adriatico verso la laguna veneta, facendo da ‘tappo’ per il deflusso di acqua e, dunque, favorendo le acque alte”.
L'Italia si trova nel cuore del bacino del Mediterraneo, e i dati mostrano come il riscaldamento globale abbia un impatto maggiore sui nostri mari. “In generale, il Mediterraneo è considerato un hot-spot climatico e questo cambio di circolazione favorisce anche il persistere per lungo tempo di condizioni di caldo e siccità, ma, quando gli anticicloni africani si spostano, entrano correnti più fredde che creano un contrasto molto forte con l’aria calda e umida preesistente in loco, con i suoli e soprattutto con i mari caldi, e così nascono le precipitazioni violente e le alluvioni lampo”, aggiunge Pasini, che conclude: “Le onde che portano queste ‘perturbazioni’ sono molto estese da nord a sud e dunque sono più stazionarie rispetto a quelle corte e veloci del flusso ovest-est. Ecco perché le situazioni cui portano sono spesso alluvionali: non solo c’è pioggia più intensa, ma questa rischia di rimanere per più giorni sullo stesso territorio; è quanto accaduto per l’alluvione in Romagna del maggio 2023”.
Sebbene il monitoraggio del livello globale del mare sia fondamentale per misurare il riscaldamento climatico, dettagliare gli studi su scala regionale è di fondamentale importanza per stabilirne l’impatto sulle coste, soprattutto perché i dati spesso deviano in maniera importante dall’andamento misurato su scala mondiale.
Fonte: Antonello Pasini, Istituto sull’inquinamento atmosferico, pasini@iia.cnr.it