La resilienza delle piante in un clima che cambia

L’ondata di caldo che ogni estate sembra superare la precedente colpisce anche le piante, che ne soffrono, e con loro l’intero sistema agricolo. Il riscaldamento globale sta mettendo a dura prova la produzione alimentare, alterando i cicli vegetativi e riducendo la resa di molte colture. Ne abbiamo parlato con Francesca Bretzel dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Cnr
Il cambiamento climatico sta trasformando radicalmente l’agricoltura, soprattutto nelle aree più vulnerabili come il bacino del Mediterraneo. Le alte temperature, spesso accompagnate da lunghi periodi di siccità, alterano profondamente i processi fisiologici delle piante, con conseguenze che si estendono lungo tutto il ciclo di vita della pianta, dalla germinazione allo sviluppo, fino alla maturazione del raccolto, come spiega Francesca Bretzel, ricercatrice dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri (Iret) del Cnr: “I fiori, ad esempio, possono durare meno o essere sterili, compromettendo la produzione. Quando le temperature si alzano troppo e piove poco, le piante entrano in uno stato di stress che si manifesta a livello morfologico, fisiologico e biochimico. I fiori, ad esempio, possono durare meno o essere sterili, compromettendo la produzione di frutti e semi”. Secondo studi internazionali, la siccità può causare cali di produzione fino al 21% per il grano e al 40% per il mais. L’impatto varia in base alla specie, alla varietà e alla fase di sviluppo in cui si trova la pianta nel momento in cui si verifica lo stress. Uno dei processi più compromessi è la fotosintesi, rallentata dalla riduzione della superficie fogliare e dall’invecchiamento precoce delle foglie. A livello biochimico, il caldo e la carenza d’acqua ostacolano l’assimilazione di molecole fondamentali per la crescita, riducono la produzione di clorofilla e limitano l’assorbimento di nutrienti dal suolo, come azoto, calcio e magnesio.

La combinazione di temperature estreme e scarsità d’acqua può diventare letale. “L’acqua è il veicolo principale per il trasporto di nutrienti alle radici e per il funzionamento dei microrganismi del suolo”, precisa la ricercatrice. “Senza acqua, le radici riducono la loro crescita, le foglie ingialliscono precocemente, la pianta nel suo complesso rallenta lo sviluppo”. Questo porta a una diminuzione sia della quantità che della qualità del raccolto. Inoltre, il caldo modifica gli equilibri ecologici, favorendo la diffusione di nuovi parassiti e patogeni, spesso privi di antagonisti naturali, con effetti devastanti sulle colture. “Per contrastare lo stress, le piante attivano meccanismi di difesa naturali, come la produzione di fitormoni e antiossidanti. Ma da sola questa strategia non basta. Per questo motivo, la ricerca scientifica sta cercando soluzioni a medio e lungo termine”, continua Bretzel. “Una via promettente è la selezione genetica di varietà più resistenti, anche attingendo al patrimonio genetico delle ‘wild relative’, le parenti selvatiche delle piante coltivate. Si stanno anche studiando trattamenti condizionanti su semi e foglie, che possano preparare le piante a tollerare meglio gli stress ambientali”.
A livello agronomico ci sono alcune tecniche per mitigare gli effetti: la pacciamatura, per proteggere il suolo ed evitarne l’eccessivo riscaldamento e l’evaporazione; ombreggianti per evitare i danni diretti su foglie e frutti; il cover cropping, che consiste nel coltivare specie erbacee tra i filari per migliorare l’infiltrazione dell’acqua e ridurre l’erosione del terreno; l’irrigazione, da utilizzare però con attenzione per evitare lo spreco di una risorsa sempre più scarsa qual è l’acqua.
Tra le misure più importanti c’è però la tutela della fertilità del suolo. Un terreno ricco di sostanza organica è più resistente all’erosione, trattiene meglio l’acqua e garantisce un habitat sano per i microrganismi essenziali alla nutrizione delle piante. “Proprio in questa direzione si concentrano alcune delle ricerche portate avanti dal Cnr-Iret nelle sedi di Pisa e Firenze”, prosegue l’esperta. “Al Cnr-Iret studiamo l’effetto della materia organica e dell’inoculo microbico sulla qualità del suolo e sulla resa di colture tipiche italiane come la vite e le piante aromatiche. I risultati finora ottenuti sono incoraggianti: migliori disponibilità di nutrienti, aumento della resa e perfino miglioramenti nella qualità organolettica dei prodotti”.
Il riscaldamento globale sta anche modificando il panorama agricolo italiano. In alcune aree del Paese si stanno sperimentando colture fino a pochi anni fa considerate incompatibili con il clima locale. “In Sicilia, ad esempio, si coltivano sempre più frequentemente avocado e mango, mentre nel Nord Italia si registra un interesse crescente per specie più resistenti alla siccità come il sorgo. Al contrario, colture tradizionali come il mais o il pomodoro iniziano a mostrare segni di sofferenza in zone un tempo favorevoli, spingendo gli agricoltori a rivedere le pratiche colturali”, conclude Bretzel.
È un processo graduale, ma rivela quanto l’agricoltura stia già cambiando per adattarsi a un clima che non è più quello di una volta.
Fonte: Francesca Bretzel, Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri, francesca.bretzel@cnr.it