Il rinvenimento di uno scheletro quasi completo di un cetaceo del Pliocene nella riserva naturale di Lucciola Bella, nel cuore della Toscana, è l’ingrediente principale de “Il delfino di Lucciola Bella”. L’opera corale - a cura di Andrea Barucci, dell’Istituto di fisica applicata “Nello Carrara” del Cnr, e Simone Casati - racconta la scoperta archeologica in una perfetta sintesi tra divulgazione scientifica, testimonianza personale e innovazione tecnologica.
“Quando finalmente, con un movimento delicato, rivelai una parte che sembrava essere la mandibola di un delfino, tutto divenne chiaro. Le ossa erano perfettamente conservate, i denti ancora incastonati negli alveoli. Mi resi conto che stavo scoprendo una cosa fortemente desiderata. Ero di fronte a un reperto straordinario. In quel momento, il mondo davanti a me scomparve. Ero il primo uomo, dopo 4 milioni di anni, davanti a questa scoperta incredibile”. Si tratta del reperto che “ha permesso di identificare nuovi caratteri, supportando l’appartenenza della specie di Lawley a un nuovo genere di delfinide, denominato Etruridelphis”, denominazione cambiata nel 2009 in “Etruridelphis Giulii”.
“La mia passione per la Paleontologia, la curiosità che mi avevano sempre spinto, mi avevano finalmente condotto a questo incontro, con un reperto che era la chiave per comprendere un mondo da tempo scomparso. Sentivo un’esplosione di emozioni dentro di me, non potevo più aspettare. Dovevo dirlo a qualcuno”. Tramite le testimonianze dirette di chi ha partecipato al rinvenimento e al successivo restauro del fossile, la sfera emotiva e le esperienze personali la fanno da padrona, raccontando l’impresa scientifica nei dettagli e come essa si “costruisce quotidianamente sul lavoro di tante persone che mettono passione, cura ed entusiasmo in tutto quello che fanno per raggiungere nuovi risultati”, lasciando intravedere un aspetto intimo e umano.
Ma non è solo racconto. Una delle forze dell’opera è la capacità di rendere comprensibili, senza banalizzare, le avanzate tecniche utilizzate anche al lettore non esperto. Un esempio è la tomografia computerizzata: “la micro-TC consente ai paleontologi di analizzare la morfologia, la composizione e la struttura interna dei campioni fossili senza comprometterne l’integrità”, e dunque, “permette di esplorare il passato con un livello di dettaglio che sarebbe impensabile con tecniche tradizionali”. Proprio grazie a questa tecnologia, è stato possibile attribuire al reperto alcune delle sue caratteristiche uniche, “evidenziando particolari che sarebbero altrimenti rimasti invisibili a occhio nudo”.
Il volume è un omaggio alla meraviglia della scoperta scientifica, alla bellezza del nostro territorio e alla dedizione dei ricercatori. Un inno alla scienza. “Come se fosse stato un bambino, avevamo visto nascere e crescere quel piccolo delfino trovato nelle argille plioceniche di Lucciola Bella: preso per mano, curato e per certi versi anche protetto. Vederlo lì, all’interno della teca, era il desiderio che si materializzava trasformando un sogno in qualcosa che non sarebbe svanito al nostro risveglio”.
Titolo: Il delfino di Lucciola Bella
Categoria: Saggi
Autore: Simone Casati e Andrea Barucci