L’aumento delle temperature ci rende più vulnerabili alle infezioni

Le sempre più frequenti ondate di calore sono all’origine dell’accresciuta diffusione di alcune patologie come il virus dengue, ma anche di infezioni gastrointestinali, batteriche e persino virali e respiratorie. A spiegare cosa determina questo fenomeno è Antonio Mastino, ricercatore associato dell’Istituto di farmacologia traslazionale del Cnr
Ondate di calore sempre più frequenti, estati che si allungano, notti tropicali che non lasciano tregua. Mentre si parla - giustamente - degli effetti delle temperature estreme su cuore, polmoni e sistema nervoso, un altro fronte si sta silenziosamente ampliando: quello delle malattie infettive legate al caldo. Non è solo una questione di zanzare, anche se la diffusione di vettori come Aedes albopictus, la zanzara tigre, e Aedes aegypti - presente in alcune zone del Mediterraneo, ma al momento non in Italia - è un esempio emblematico. L’aumento delle temperature influisce infatti su diversi fattori che possono favorire la trasmissione di agenti patogeni: dalla proliferazione dei microrganismi nei cibi e nell’acqua alla sopravvivenza e moltiplicazione di virus e batteri in ambienti prima ostili.
Il riscaldamento globale sta già modificando la geografia delle malattie infettive. Per comprendere che impatto ha tutto questo sulla salute pubblica, se siamo attrezzati per monitorare questi fenomeni e, soprattutto, se possiamo prevenirli abbiamo parlato con Antonio Mastino, associato dell’Istituto di farmacologia traslazionale (Ift) del Cnr e già professore ordinario di Microbiologia generale all’Università di Messina che commenta: “È noto che un gran numero di malattie infettive causate da virus, batteri, miceti e parassiti si concentra nei Paesi tropicali, al punto che si parla di malattie tropicali neglette, cioè, trascurate da istituzioni e industria farmaceutica. Tuttavia, la loro diffusione non dipende solo dal clima, ma anche dalle condizioni socioeconomiche e igienico-sanitarie. In Italia, non ci sono al momento dati che indichino un significativo aumento di casi autoctoni legati direttamente al riscaldamento globale, con l’eccezione delle infezioni da arbovirus trasmessi da insetti vettori. I numeri, per ora, restano limitati ma preoccupanti in previsione di un possibile aumento futuro. Non trascuriamo comunque il fatto che, secondo i dati dell’Oms, per alcune di queste infezioni negli ultimi anni è stata registrata una notevole crescita negli stessi Paesi dell’area geografica tropicale/equatoriale. Ad esempio, per il virus dengue si è passati da 500.000 casi nel 2000 a 15.000.000 registrati nel 2024 a livello mondiale. Non è semplice stabilire quanto ciò dipenda dal cambiamento climatico, ma è evidente che la mobilità internazionale - per lavoro, turismo, migrazione - contribuisca all’aumento dei cosiddetti ‘casi di importazione’ da monitorare con attenzione”.
Le malattie infettive determinate da agenti microbici o parassitari sono trasmesse da contatto diretto o indiretto tra individui della nostra specie con diverse modalità. Tra queste, c’è quella in cui alcuni agenti patogeni dall’uomo passano a specie animali diverse in cui trascorrono, attivamente o passivamente, una parte del loro ciclo vitale per poi esser nuovamente trasmessi a individui della nostra specie. “Tra questi vettori, particolarmente importanti sono alcuni insetti, quali le zanzare dei generi Culex e Aedes, i flebotomi, le zecche, le pulci e i pidocchi. Come sappiamo tutti, le zanzare durante il periodo invernale alle nostre latitudini non si vedono in giro. Questo perché con l’abbassarsi della temperatura non riescono a completare il loro ciclo vitale, sopravvivendo da adulti anche a temperature basse in una specie di letargo e senza deporre uova, ad esempio, nel caso del genere Culex, o come uova ad esempio nel caso del genere Aedes. Solo con l’aumento della temperatura il loro ciclo vitale riprende regolarmente, con la continua deposizione di uova in ambienti umidi e la loro maturazione in individui adulti”, continua il ricercatore. “Di conseguenza, tanto più è lungo il periodo in cui la temperatura consente alle zanzare di compiere cicli vitali completi, tanto più è prolungata ed estesa la loro presenza nell’ambiente e tanto più è elevata la probabilità che un vettore possa pungere una persona infetta da un arbovirus, la cui infezione magari è stata contratta all’estero, e poi pungere un’altra persona a cui trasmettere quell’infezione. Possiamo probabilmente attribuire a questo un aumento negli ultimi due anni dei casi di infezione da virus dengue nel nostro Paese (741 casi totali registrati nel 2024, di cui 238 autoctoni e 503 di importazione), il cui vettore in Italia è Aedes albopictus, la cosiddetta zanzara tigre, oramai stabilmente presente da noi”.

Ma esiste una correlazione anche tra ondate di calore e aumento di infezioni gastrointestinali o batteriche. “E’ noto che diversi batteri patogeni possano sopravvivere e duplicarsi nell’ambiente in presenza di sostanze in grado di fungere da adeguato terreno di coltura - residui di cibo e materiale organico nei rifiuti sono un ottimo ‘terreno di coltura’ per batteri e miceti - e che la loro crescita avvenga in modo ottimale a una temperatura vicina ai 37° gradi. Una temperatura superiore ai 40° gradi rappresenta al contrario un elemento a loro ostile. Comunque non vi sono particolari focolai epidemici di infezioni batteriche gastrointestinali in Italia negli ultimi anni, come accadde invece con la famosa epidemia di colera nel 1973 a Napoli. Epidemia, peraltro, efficacemente e prontamente controllata con una intensa campagna vaccinale”, aggiunge Mastino
Esiste poi un aspetto spesso trascurato quando si parla dell’impatto del caldo sulle infezioni virali respiratorie. “A differenza di quanto si crede comunemente, le alte temperature non determinano una vera e propria inattivazione del virus influenzale. I virus patogeni per l’essere umano continuano infatti a replicarsi in modo ottimale alla temperatura corporea, e solo in presenza di febbre molto alta - attorno ai 39-40 gradi - possono essere inibiti. È proprio questo il motivo per cui la febbre è stata selezionata dall’evoluzione come meccanismo di difesa”, precisa l’esperto. “La riduzione della circolazione del virus influenzale nei mesi primaverili ed estivi non è quindi imputabile al caldo in sé, ma a fattori comportamentali e immunitari: una maggiore diffusione dell’immunità specifica nella popolazione (dovuta alla vaccinazione o all’esposizione pregressa) e, soprattutto, il fatto che con il bel tempo si tende a trascorrere più tempo all’aperto, a mantenere una maggiore distanza tra le persone e ad arieggiare di più gli ambienti chiusi”.
Mastino invita inoltre a riflettere su un possibile effetto paradosso legato ai cambiamenti climatici e alle nostre abitudini moderne: “Le sempre più frequenti e prolungate ondate di caldo spingono molte persone a rifugiarsi per ore in ambienti chiusi e climatizzati, dove l’aria viene riciclata artificialmente. Questa tendenza - ormai consolidata sia nei luoghi di lavoro che in quelli di svago - potrebbe favorire la trasmissione dei virus respiratori anche in stagioni tradizionalmente considerate ‘fuori picco’. Il risultato è un’estensione anomala della stagione influenzale, proprio a causa del caldo e delle risposte ambientali e sociali che esso innesca”.
Occorre dunque fare prevenzione, serve una strategia concreta e le misure devono essere integrate, come sottolinea il ricercatore del Cnr-Ift: “Serve una sorveglianza capillare, con diagnosi accurate e strumenti molecolari per identificare precocemente i patogeni. Ma serve anche cura dell’ambiente, raccolta puntuale dei rifiuti e, soprattutto, informazione scientifica, chiara e tempestiva. Dove necessario, bisogna attivare campagne vaccinali mirate. In altre parole, dobbiamo passare dalle parole ai fatti quando parliamo di One Health: un approccio che integra la salute umana, animale e ambientale in un’unica visione”.
Fonte: Antonio Mastino, Istituto di farmacologia traslazionale, antonio.mastino@cnr.it