Focus: Terra

La “circolarità” può aiutarci

Plastica in mare
di Alice Sarnelli

Solo il 20% dei rifiuti globali viene riciclato. Ma esiste un pianeta che non spreca, ma rigenera tramite l’economia circolare. Ne esploriamo le nuove frontiere insieme a Irene Bonadies dell’Istituto per i polimeri, compositi e biomateriali del Cnr

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Ogni minuto, l’equivalente di due camion della spazzatura carico di plastica finisce negli oceani. Ogni anno, l’umanità genera oltre 2 miliardi di tonnellate di rifiuti solidi, di questi, meno del 20% viene riciclato, il resto finisce in discariche, inceneritori o, peggio, disperso nell’ambiente. Un modello lineare basato sul “prendi, produci, getta” che sta esaurendo le risorse del Pianeta e accelerando la crisi climatica.  Per comprendere cosa si può fare per cambiare la situazione abbiamo parlato con Irene Bonadies dell’Istituto per i polimeri, compositi e biomateriali (Ipcb) del Cnr.

“La transizione verso un modello economico circolare ha acquisito rilevanza crescente in vari settori, incluso quello agricolo e della scienza dei materiali, che affrontano la sfida di mitigare l’impatto ambientale derivante dal concetto di economia lineare applicato a questi ambiti, per cui un prodotto a fine vita viene smaltito senza ricavarne ulteriore valore. L’economia circolare risponde a questa criticità, recuperando e valorizzando sottoprodotti e rifiuti, reinserendoli in cicli produttivi anche molto diversi da quelli originari”, spiega Bonadies.

Istituti di ricerca come il Cnr-Ipcb, con sede a Pozzuoli, sono il centro dell’innovazione per l’applicazione dell’economia circolare. “L’obiettivo principale è l’ottimizzazione, l'integrazione e la validazione di nuove tecnologie per l'estrazione e l’utilizzo di tali materiali, contribuendo alla creazione di catene del valore sostenibili, che riducano l’impatto ambientale dei rifiuti urbani, agro-alimentari e agricoli, così da sviluppare nuove catene del valore sostenibili e circolari per la produzione di nuovi materiali, nuove sostanze e prevedere nuove applicazioni”, chiarisce la ricercatrice. “Un esempio è l’impiego dei sottoprodotti ittici, che diventano fertilizzanti e biostimolanti a base biopolimerica e che garantiscono un rilascio controllato dei principi attivi e dei microrganismi. E questi non solo rispondono ai requisiti di sostenibilità ed efficienza, ma sono anche in grado di competere sul mercato globale con i fertilizzanti convenzionali”.

Packaging

Anche il packaging si sta reinventando. “Grazie ai biopolimeri e sostanze funzionali estratti da questi scarti e opportunamente incapsulati, trovano applicazione nella creazione di film e coating bioattivi per prolungare la conservazione dei cibi, riducendo lo spreco alimentare e l’uso di additivi chimici”, continua l’esperta.

Ma a beneficiare di queste innovazioni è anche il settore agricolo. “Si sta diffondendo l’impiego di biopolimeri e fibre ligno-cellulosiche per la produzione di film e biocompositi per realizzare teli pacciamanti spray, un’alternativa ecologica ai tradizionali teli in plastica usati per proteggere i campi dalle infestanti e preservare l’umidità del suolo o vasi per piante. Questi materiali, oltre a essere biodegradabili, rilasciano nel terreno sostanze nutritive benefiche, migliorando la fertilità del suolo e favorendo il benessere della pianta in coltura”, aggiunge Bonadies.

Persino i gusci delle noci pecan hanno degli utilizzi inaspettati. “Contengono composti preziosi come lignina, polifenoli e cellulosa, che possono essere riutilizzati per la produzione di materiali funzionali. Studi recenti hanno dimostrato il loro potenziale come agenti rinforzanti nei biopolimeri, biosorbenti per applicazioni ambientali e precursori per la sintesi di nanoparticelle”, illustra la ricercatrice, che racconta anche il particolare uso che può essere fatto di materiali come vinaccia, scarti di agrumi e semi di canapa, con un importante scopo educativo: “Grazie a una specifica collaborazione con designer, si svolge un’attività di valorizzazione di queste biomasse volta a estrarre componenti strutturali, come polisaccaridi (ad esempio la pectina), e funzionali, come molecole con proprietà antiossidanti, per lo sviluppo di prototipi innovativi destinati a scopi ludici ed educativi, realizzati su scala di laboratorio. Tali prototipi sono indirizzati ai bambini, per sensibilizzarli fin da piccoli sull’importanza della sostenibilità e della riduzione degli sprechi, in un’ottica di economia circolare”.

Insomma, dai gusci di noci trasformati in materiali edili agli scarti ittici diventati fertilizzanti, ogni esempio dimostra che il cerchio può e deve chiudersi. “I futuri sforzi devono includere la rigenerazione delle risorse, integrando le innovazioni bio-based nei mercati esistenti per contribuire a un futuro più sostenibile”, conclude Bonadies.

Questo studio è stato svolto grazie a un team di ricercatori del Cnr-Ipcb: Gabriella Santagata, Giovanna Gomez d’Ayala, Pierfrancesco Cerruti, Tiziana Marino, Valentina Marturano, Sarai Agustin Salazar, e Giovanni Dal Poggetto.

Fonte: Irene Bonadies, Istituto per i polimeri, compositi e biomateriali, irene.bonadies@cnr.it

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