Focus: Terra

Il ruolo dei satelliti nella lotta al cambiamento climatico

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di Alessandro Frandi

Questi strumenti permettono di raccogliere dati sull'atmosfera terrestre. Quelli orbitanti intorno al nostro Pianeta sono equipaggiati con una varietà di sensori che rilevano informazioni cruciali riguardanti il sistema Terra in generale, per monitorare il clima, sostenere le politiche ambientali e affrontare la crisi climatica. Ne parliamo con Eugenio Sansosti e Simona Verde dell’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente del Cnr

 

 

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I satelliti per l’osservazione della Terra permettono di avere informazioni su vaste aree del nostro pianeta, permettono, cioè, di ottenere quella che si chiama una “visione sinottica” del territorio. Questa caratteristica è difficilmente ottenibile utilizzando altri strumenti di misura e riveste un ruolo di fondamentale importanza quando si vogliono studiare fenomeni legati ai cambiamenti climatici, i cui effetti localmente possono risultare difficilmente rilevabili, ma hanno un enorme impatto su scala globale. “Le osservazioni satellitari aiutano ad analizzare le emissioni e gli assorbimenti netti di gas serra a livello globale. Ciò consente anche di identificare emissioni puntuali di questi gas, come quelle relative a centrali elettriche, aree urbane o siti di estrazione di combustibili fossili, consentendo così di migliorare i controlli e di valutare l’impatto ambientale dell’azione umana. Inoltre, i satelliti possono monitorare anche emissioni legate a fonti naturali localizzate in aree remote e non gestite, come ad esempio quelle relative allo scioglimento del permafrost in zone polari o sub-polari o quelle dovute a elevata umidità del suolo. Per questi motivi le osservazioni satellitari forniscono un contributo fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici e al raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi del 2015”, spiega Eugenio Sansosti, ricercatore dell'Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente (Irea) del Cnr.

Esistono diversi strumenti utili per raccogliere dati relativi al clima e all’ambiente che trovano posto a bordo di satelliti. “I dispositivi più noti sono certamente i satelliti meteorologici, che permettono l’osservazione delle formazioni nuvolose e funzionano prevalentemente in banda ottica e nell’infrarosso, più o meno come le comuni macchine fotografiche. Questi satelliti sono posti tipicamente in orbita geostazionaria (a 36.000 km di distanza dalla Terra) e forniscono con continuità immagini a una risoluzione spaziale non molto elevata (alcuni chilometri), ma adatta a seguire l’evoluzione spaziotemporale delle formazioni nuvolose. Esistono anche satelliti equipaggiati con sensori ottici ad alta risoluzione (anche al di sotto del metro) pensati non per guardare l’atmosfera, ma il suolo. Tali satelliti sono posti in orbita bassa (più vicina alla Terra) e, quindi, non geostazionaria: il satellite sorge e tramonta ciclicamente e non può inquadrare costantemente la stessa zona a terra. Tali sistemi non forniscono immagini in tempo reale, ma esiste un cosiddetto ‘tempo di rivisita’, cioè il tempo necessario al satellite per ritornare a inquadrare la stessa zona. Altri satelliti trasportano a bordo strumenti di tipo radar, cioè sistemi attivi che utilizzano onde elettromagnetiche alla frequenza delle microonde. Questi sistemi hanno il vantaggio di riuscire a vedere anche attraverso le nuvole e, contrariamente ai sistemi ottici passivi, possono funzionare anche di notte avendo una propria fonte di illuminazione”, evidenzia Simona Verde del Cnr-Irea. “La quantità e varietà di strumenti disponibili oggi sui satelliti è veramente elevata. Ci sono sensori a infrarosso termico per la misura della temperatura del mare e della superficie terrestre; radar altimetri e radiometri per la misura del livello del mare e delle correnti oceaniche; radar e lidar per lo studio dei ghiacciai; sensori multispettrali, iperspettrali e spettro-radiometri per lo studio della vegetazione, della copertura nevosa, delle inondazioni, degli incendi boschivi, delle particelle disperse in atmosfera (aerosol). L’elenco di queste applicazioni non può che essere parziale e si aggiorna costantemente al passo con i progressi della ricerca nel campo delle tecniche di elaborazione e analisi dei segnali. Spesso, l’uso sinergico di diversi sensori permette di massimizzare l’informazione estratta, specialmente in un settore, come quello dei cambiamenti climatici, in cui i parametri di interesse sono spesso difficili da misurare”.

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I dati satellitari sono fondamentali per monitorare eventi climatici estremi come uragani, incendi boschivi e inondazioni, forniscono informazioni rapidamente e su vasta scala, difficili da ottenere con metodi tradizionali. “Gli eventi meteorologici estremi diventano sempre più frequenti e di intensità maggiore. I dati satellitari per l’osservazione della Terra, grazie alla loro disponibilità globale, continua e di lungo periodo, svolgono un ruolo cruciale nel monitoraggio di questi eventi. Inoltre, i tempi di rivisita dei satelliti tendono a ridursi sempre di più, fornendo, quindi, informazioni più frequentemente (dati in tempo quasi-reale), facilitando una gestione tempestiva dell’evento e una stima dei danni ad esso correlati”, sottolinea Verde.

Le missioni della Nasa e dell’Esa sono molto spesso considerate pionieristiche nel campo dello studio del clima.  Ci sono missioni più significative a cui stiamo assistendo in questo momento. “L’Unione Europea ha lanciato già da qualche anno il programma Copernicus per l’Osservazione della Terra da satellite e in situ. Questo programma è coordinato e gestito direttamente dalla Commissione Europea, mentre la componente spaziale è affidata all’Agenzia spaziale europea (Esa) e ad Eumetsat. Il programma Copernicus prevede l'utilizzo di una serie di satelliti (le famiglie Sentinel) che trasportano diversi strumenti dedicati all’osservazione sia del suolo (terra e mare), sia dell’atmosfera. Il primo satellite (Sentinel-1A) è stato lanciato nel 2014, avviando un processo che prevede la messa in orbita, entro il 2030, di una costellazione di circa 20 satelliti che, complessivamente, trasportano un’ampia gamma di strumenti diversi per l’Osservazione della Terra”, spiega Sansosti. “Una caratteristica importante di questo programma è che i dati Copernicus sono liberi e gratuiti per tutti gli utenti, sia istituzionali che privati. Dall’altro lato dell’oceano, la Nasa ha attivato il programma Earth Observing System (Eos) sin dai primi anni ’70 con i primi satelliti Landsat (il più recente, Landsat-9, è stato lanciato nel 2021). Tra i vari satelliti ora in uso, particolare importanza rivestono, per il tema del cambiamento climatico, la missione Calipso dedicata al monitoraggio degli aerosol, e la missione OCo-2 specificatamente progettata per la misura delle emissioni di anidride carbonica (Co2) nell’atmosfera”.

Ma ci sono anche altri progetti. “Per il 2025 è previsto il lancio del satellite Nisar, frutto di una collaborazione tra la Nasa e l’Organizzazione indiana per la ricerca spaziale (Isro), che monta a bordo un radar ad apertura sintetica (Sar) progettato per osservare e misurare alcuni dei processi più complessi del pianeta, tra cui le perturbazioni dell’ecosistema, il collasso della calotta glaciale, oltre ad altri rischi naturali come terremoti, attività vulcanica, subsidenza costiera e frane. Gli avanzamenti tecnologici hanno promosso un crescente interesse per le costellazioni di satelliti di piccole dimensioni che, in generale, offrono una maggiore flessibilità e ridondanza delle misurazioni e costi più bassi. Nel 2023 la Nasa ha lanciato la missione Tropics, una costellazione di piccoli satelliti capace di fornire misure alle microonde ad aggiornamento rapido sulle aree tropicali. Questi satelliti possono misurare le condizioni ambientali e del nucleo interno dei cicloni tropicali su scala quasi globale e con una risoluzione temporale impensabile fino a qualche tempo fa, fornendo informazioni su diversi parametri chiave per lo studio dettagliato di eventi meteorologici ad alto impatto”, continua il ricercatore.

“Anche i sensori radar ad apertura sintetica (Sar) hanno di recente trovato posto su piccoli satelliti. In particolare, accanto alle missioni di agenzie spaziali internazionali, come la missione Platino dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) e la missione Iride dell’Esa con il supporto di Asi, ci sono ormai diversi esempi di costellazioni di sensori di compagnie private, come Iceye e Capella Space. Oltre alla riduzione dei costi, l’uso di costellazioni di piccoli satelliti permette di migliorare le prestazioni in termini di tempi di rivisita più brevi, modalità di acquisizione innovative, flessibilità e ridondanza delle misurazioni”, aggiunge Simona Verde.

Ci sono alcuni esempi specifici in cui l’utilizzo di satelliti ha portato a scoperte importanti o ha avuto un impatto positivo nella gestione del cambiamento climatico. “Le missioni Sentinelle forniscono importanti informazioni per la ricerca scientifica sui cambiamenti climatici nell'ambito dell’iniziativa Climate change initiative (Cci) dell'Esa. Grazie al significativo supporto delle ‘Sentinelle’ è stato creato il Copernicus emergency management service (Cems), un servizio basato sui dati satellitari pensato per rispondere alle emergenze e per la gestione del rischio legato ai disastri naturali. Ad esempio, nel settembre 2024, l’Europa centrale è stata colpita da gravi inondazioni a seguito della tempesta Boris; le immagini radar di Sentinel-1, acquisite prima e dopo gli eventi, sono state utilizzate per valutare l’entità dei danni nelle aree colpite. In casi come questo, in cui date le avverse condizioni meteo ci si trova spesso in presenza di una forte copertura nuvolosa, l’utilizzo del radar si dimostra particolarmente utile grazie alla sua capacità di vedere attraverso le nuvole”, afferma Sansosti.

Ci sono poi specifici satelliti o tecnologie sviluppate da queste Agenzie spaziali che si concentrano in particolare sullo studio del cambiamento climatico. “Il programma Copernicus si arricchirà di nuove missioni satellitari che saranno lanciate nei prossimi anni e che forniranno un campionamento molto più denso delle misurazioni di anidride carbonica e metano nell’atmosfera. Infatti, l'Esa sta sviluppando la missione Copernicus Anthropogenic Carbon Dioxide Monitoring (Co2M), la prima missione satellitare per misurare la quantità di anidride carbonica rilasciata nell’atmosfera a causa delle attività umane. Essendo una fonte di informazione unica e indipendente, il Co2M sarà fondamentale per valutare l'efficacia delle politiche volte a ridurre le emissioni su scala nazionale e globale, consentendo ai Paesi di monitorare e mostrare i progressi compiuti rispetto ai propri impegni di decarbonizzazione. Si prevede che la missione fornirà dati a sostegno del secondo bilancio globale che terminerà nel 2028, nonché della drastica decarbonizzazione dell'Europa, economicamente necessaria per realizzare il Green Deal dell'UE”, conclude Verde.

Fonti: Eugenio Sansosti, Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente, eugenio.sansosti@cnr.it; Simona Verde, Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente, simona.verde@cnr.it