Focus: Terra

Il "Pianeta azzurro” è sempre meno azzurro

Alba terrestre
di Elisa Storace

La vita sulla Terra è possibile solo grazie all'acqua, ma la domanda idrica mondiale è in costante crescita e la siccità avanza di pari passo. All’Osservatorio siccità dell’Istituto per la bioeconomia del Cnr si studiano strategie per contribuire ad attenuare la carenza di questa risorsa preziosa, suggerendo soluzioni efficaci per ottimizzarne l’uso e ridurne i consumi, come spiega Arianna Di Paola, ricercatrice della struttura

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Il 12 aprile 1961, dal cosmodromo di Bajkonur, in Kazakistan, decollava la navicella Vostok 1. L’equipaggio era formato da una sola persona: il cosmonauta russo Jurij Alekseevic Gagarin. Il primo uomo nello spazio. E anche il primo a osservare la Terra dal di fuori: “Il cielo è nero, totalmente nero, e vedo la Terra sotto di me: è azzurra”.

Noi, quaggiù, abbiamo dovuto aspettare sette anni, fino al 1968, quando la celeberrima foto scattata dall’astronauta americano William Anders dall’Apollo 8 ci rese partecipi della visione di una Terra che sorge sopra l’orizzonte lunare, cui venne dato il titolo di “Earthrise, Alba terrestre”. Fu allora che il “Pianeta azzurro” apparve per la prima volta ai suoi abitanti in tutta la sua unicità e fragilità: un puntino azzurro nello spazio nero.  Azzurro come gli oceani che lo coprono per sette decimi, unico pianeta del sistema solare ad avere masse di acqua liquida permanenti sulla sua superfice. Oggi, grazie alle sonde, sappiamo che questo elemento è presente anche in molti altri corpi celesti: comete, asteroidi, satelliti, pianeti. Ma la Terra è l’unico su cui l’acqua forma vaste distese superficiali da almeno tre miliardi e mezzo di anni. Rendendo così possibile la vita. 

Ma quanta acqua liquida c’è sulla Terra? In effetti non molta. Se fossimo in grado di raccoglierla tutta in una sfera - come hanno fatto con una simulazione grafica i ricercatori dell’Istituto Geologico degli Stati Uniti - questa avrebbe un diametro di appena 1385 chilometri. Perché, se è vero che gli oceani coprono circa il 70% della superficie, sono relativamente poco profondi rispetto al raggio del nostro pianeta, appena un velo. L’acqua risulta così la risorsa più preziosa del pianeta. In particolar modo oggi: con l’aumento della popolazione a livello globale e a causa di modelli di produzione che richiedono grandi quantità d’acqua, infatti, la domanda idrica mondiale è in costante crescita. Un prelievo maggiore della disponibilità. A volte più bassa per diversi fattori, tra cui anche quelli legati ai cambiamenti climatici tanto che, come preconizzato dall’UN Water Forum del 2023: “entro il 2030 la richiesta idrica potrebbe superare del 40% la disponibilità”.

Ormai da molti anni, i ricercatori di tutto il mondo sono impegnati nello studio dell’idrosfera - l’insieme delle acque presenti sul nostro pianeta -, sia in chiave ecosistemica che di sostenibilità; nel 2019 all’interno dell’Istituto per la bioeconomia (Ibe) del Cnr un gruppo di lavoro multidisciplinare ha dato vita all’Osservatorio siccità , un servizio climatico per lo studio di questo fenomeno estremo, come spiega Arianna Di Paola, esperta in modellista agrometeorologica e analisi avanzate del Cnr-Ibe: “Ci dedichiamo al monitoraggio della siccità collaborando con diverse Autorità di bacino distrettuale e con la Protezione civile principalmente in Italia e nella zona euromediterranea, ma anche a livello globale. Il dialogo con gli stakeholder ci permette di offrire informazioni realmente utili e calibrate sui bisogni specifici di chi le utilizza. Proprio dalla collaborazione con gli utenti, ad esempio, è nato il Drought Scan, un sistema innovativo per il monitoraggio della siccità a livello di bacino idrografico, che mira a rendere i servizi climatici più efficienti e accessibili. Per le nostre analisi utilizziamo dati già disponibili e liberamente fruibili, messi a disposizione da programmi internazionali e iniziative europee come Copernicus. Si tratta di dati climatici e satellitari consolidati, fondamentali per calcolare indici specifici, che aiutano a descrivere le diverse componenti del fenomeno siccità. Inoltre, manteniamo un costante confronto con le esperienze e le metodologie adottate da altri sistemi di monitoraggio a livello internazionale, per integrare buone pratiche, innovazioni tecnologiche e approcci emergenti nella nostra attività”.

Acqua terrestre

Credit: Howard Perlman, USGS, illustrazione di Jack Cook, Woods Hole Oceanographic Institution e Adam Nieman

Un approccio multifattoriale, dunque, capace di integrare informazioni sui processi e sugli impatti, indispensabile per analizzare un fenomeno così articolato quale la siccità. “La siccità è un fenomeno complesso, che dipende da molti fattori. Il principale è senz’altro la scarsità di precipitazioni, ma a questo si sommano l’aumento delle temperature, la crescente domanda di acqua da parte dell’agricoltura, dell’industria, del settore energetico e dell’idropotabile”, aggiunge la ricercatrice. “A peggiorare la situazione, contribuiscono anche la vetustà e il deterioramento delle infrastrutture idriche e una gestione del territorio e delle risorse idriche che fatica ad adottare approcci realmente sostenibili. Quando questi elementi si combinano, la siccità può trasformarsi in un’emergenza anche in aree che, per ricchezza d’acqua, sembravano immuni. È il caso dell’Italia che, pur avendo una conformazione geografica favorevole e una disponibilità idrica elevata, sia superficialmente che nel sottosuolo, ha registrato dagli anni duemila un aumento nella frequenza e nell’intensità degli eventi siccitosi”.

Un processo articolato, quindi, che mostra anche la strettissima relazione fra terra e acqua. “Consideriamo l’esempio del consumo di suolo: in aree altamente cementificate, dunque impermeabili, l’acqua tende a ruscellare (fenomeno di scorrimento delle acque piovane sulla superficie del suolo) più rapidamente e in quantità maggiori, riducendo l’infiltrazione nel terreno, che è fondamentale per ricaricare le falde acquifere. In caso di precipitazioni intense e concentrate nello spazio, inoltre, l’eccessivo ruscellamento può provocare allagamenti, alluvioni e smottamenti”, precisa Di Paola.

Un problema sottovalutato è poi che rischiamo di esaurire le nostre riserve idriche. “Ogni anno disponiamo di una certa quantità di precipitazioni, che rappresentano le nostre risorse annuali. Le riserve invece sono le acque immagazzinate nel corso del tempo, sia in superficie che nel sottosuolo, anche nelle falde acquifere profonde, che solitamente non preleviamo. Queste costituiscono il nostro ‘tesoretto’. Quando affrontiamo periodi di carenza, possiamo attingere a queste riserve per tamponare la situazione, come è accaduto, ad esempio, durante la crisi idrica che ha colpito il bacino del Po nel 2022. Tuttavia, se le riserve non vengono ricaricate adeguatamente, rischiamo di consumarle a un ritmo superiore alla loro capacità di rigenerazione. La loro ricostituzione richiede un surplus di precipitazioni o almeno un aumento significativo e duraturo dell'infiltrazione nel suolo. Se questo non avviene potremmo trovarci alla successiva annata secca, in una condizione di crisi idrica già severa”, aggiunge l’esperta.  “La siccità è un fenomeno complesso e non stazionario, quindi difficilmente prevedibile, e gli scenari futuri rispetto agli impatti sulle risorse idriche non sono semplici da anticipare, anche perché esacerbati dai cambiamenti climatici. Dal punto di vista economico e sociale, è prevedibile un aumento delle conflittualità nell’uso dell’acqua, a causa della sua crescente scarsità e delle misure di razionalizzazione. Tuttavia, lo sviluppo tecnologico e i progressi scientifici possono contribuire ad attenuarla, suggerendo le soluzioni più efficaci per ottimizzare l’uso della risorsa e ridurre i consumi”.

Il nodo nevralgico alla base di tutto non è tanto la quantità d’acqua disponibile, ma l’intervento umano che ha alterato e continua ad alterare gli equilibri naturali. “Gli ecosistemi, siano essi aridi o umidi, hanno sviluppato nel tempo un proprio equilibrio, attraverso processi evolutivi e adattativi. Piante e animali hanno elaborato strategie altamente efficienti per sopravvivere e prosperare nei loro ambienti specifici. Anche l’uomo, prima della globalizzazione, si è adattato alle vocazioni naturali dei territori da un punto di vista economico e sociale, attraverso opportune scelte. Il problema sorge quando l’azione umana altera questi equilibri, compromettendo in pochi decenni ciò che la natura ha impiegato millenni a costruire, come sta accadendo per il cambiamento climatico”, conclude Di Paola. “Per questo, oggi è fondamentale ripristinare gli equilibri e, laddove ciò non sia più possibile, tradurre le conoscenze scientifiche in strategie concrete di adattamento e mitigazione, seguendo una visione integrata, multidisciplinare e lungimirante. Ciò significa preservare e proteggere il territorio, ammodernare le infrastrutture e investire in sistemi produttivi realmente efficienti e sostenibili. Affinché tutto questo abbia successo è imprescindibile il coinvolgimento di tutti gli attori: dalle amministrazioni ai cittadini, passando per le comunità locali e le imprese. Nessuno può chiamarsi fuori: ogni scelta, individuale o collettiva, può contribuire a rendere il nostro territorio e la nostra società più forti di fronte alle crisi future”.

Fonte: Arianna Di Paola, Istituto per la bioeconomia, arianna.dipaola@cnr.it

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